Roma, 15 Magg 2024 - In Italia non nascono più bambini e mancano 200.000 bambini perché 30 anni fa non sono nati i potenziali 'genitori'. ''Il consistente calo delle nascite degli anni più recenti ha radici profonde, ed è dovuto alle scelte di genitorialità (meno figli e sempre più tardi) da parte delle coppie italiane di oggi e di quelle di ieri''.
Lo rileva l'Istat nel rapporto annuale spiegando che la decisione di fare meno figli, 30 anni fa, oggi ha portato ad un minor numero di potenziali genitori. A questo si aggiungono ovviamente le scelte delle famiglie di oggi, in linea con quelle di ieri. Inoltre, negli ultimi anni si è ridotto anche il contributo alle nascite da parte dei cittadini stranieri, che aveva prodotto una ripresa della natalità a partire dai primi anni Duemila.
In 20 anni 3 milioni di giovani in meno. Oltre tre milioni di giovani in meno in 20 anni: l'Italia registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni. Rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni (-32,3%). Negli ultimi 30 anni c'è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%)
Ci si sposa 5 anni più tardi: gli uomini a 36 anni, le donne a 33. Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l'età adulta. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia con quasi otto punti in più rispetto al 2002 (59,7%). Il rapporto annuale dell'Istat sottolinea come i valori siano intorno al 75% in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l'età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.
Economia - Potere di acquisto dei salari: in 10 anni - 4,5%. L'occupazione è aumentata negli ultimi anni ma il potere d'acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito negli ultimi 10 anni del 4,5%. Si legge nel Report. "Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, si legge, l'Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d'acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell'Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l'1,1% della Francia e il 5,7% della Germania.
Pil reale a fine 2023 torna a livello pre crisi 200. Il Pil reale (quello in volume) in Italia, solo a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007: in 15anni si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Lo si legge nel Rapporto annuale dell'Istat. Rispetto al 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna. Se si guarda al Pil nominale tra il 2019 e il 2023 l'Italia è l'economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori Ue con un +4,2% a fine 2023 sull'ultimo trimestre del 2019 (+2,9% in Spagna, +1,9% in Francia e + 0,1%in Germania).
L'erogazione del Reddito di cittadinanza "ha permesso di uscire dalla povertà a 404mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Perquanto riguarda gli individui, l'uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021e nel 2022.
Occupazione - Tasso occupazione al 61,5%, divario genere 17,9 punti. Il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel 2023 ha raggiunto il 61,5% guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%) ma il divario di genere resta ampio con 17,9 punti. Il Rapporto annuale dell'Istat sottolinea come ci sia un notevole ritardo in termini di partecipazione al mercato del lavoro rispetto agli altri Paesi Ue. Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei Paesi dell'Ue 27 (25,0%) con un divario che per le donne è di circa 13 punti percentuali. "Il divario nei tassi di occupazione dell'Italia rispetto alla media Ue27 - si legge - può essere integralmente ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2% di occupati rispetto al 70,4%della media Ue27) e della componente femminile dell'occupazione (il 52,5% a fronte del valore 65,8%). La quota dei occupati part-time (17,6 % del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6% e 13,2%) e molto inferiore a quella della Germania (28,8%). Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8%) vorrebbe lavorare di più; l'incidenza raggiunge quasi il 70% tra gli uomini e a quasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno.
Sottoinquadrato un occupato laureato su tre. Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d'istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite. Lo sottolinea l'Istat nel suo Rapporto annuale presentato oggi. L'incidenza, spiega, raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e scende al 27,6% tra i laureati in discipline STEM. Tra il 2019 e il 2023 la quota dei sovra-istruiti è cresciuta di 1,1 punti percentuali.
Crescono working poor, è povero il 14% degli operai. Il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Tra il 2014 e il 2023 l'incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023. Per gli operai l'incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel 2023 l'8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti.
Infine in Italia "si sono progressivamente diffuse nuove modalità di formazione della famiglia. Nel 2022-2023, coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e mono genitori non vedovi rappresentano il 39,7% del totale dei nuclei". Lo sottolinea il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli presentando il Rapporto e affermando che nel 2002-2003, queste famiglie erano il 21,9". Si tratta, nel complesso, spiega, "di oltre 18 milioni e mezzo di individui, quasi un terzo della popolazione. Sono soprattutto i bambini e i ragazzi fino ai 24 anni, che sempre più spesso vivono con genitori non coniugati o con madri single, a essere interessati dalle trasformazioni dei modelli familiari". Nello stesso periodo, "tra gli adulti tra i 25 e i 64 anni è raddoppiata la quota di quanti vivono senza partner, dal 10,9% al 22,1% del totale, ed è cresciuta dal 5,4 al 14,6% la quota di quanti vivono con un partner senza essere coniugati, o in famiglie sposate in cui almeno uno dei due coniugi proviene da un precedente matrimonio". Anche le persone anziane sono state investite da nuovi modi di fare famiglia: sono aumentate quelle che vivono da sole, a partire dai 65 anni, non soltanto come conseguenza della vedovanza e, tra i 65-74enni, sono raddoppiati quanti sperimentano libere unioni e secondi matrimoni.
Comments are closed.