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Libia, il sindaco di Ghat: italiani non sono in mano a terroristi

Tripoli, 20 Sett 2016 - "Un piccolo gruppo fuorilegge" e non al-Qaeda si celerebbe dietro il rapimento, non ancora rivendicato, di due italiani e un canadese, sequestrati ieri mattina nella città di Ghat, nella Libia sudoccidentale, al confine con l'Algeria. E' quanto ha dichiarato al portale di notizie libico 'Al Wasat' il capo dell'ufficio stampa del Consiglio municipale di Ghat, Hasan Aysa.

I due tecnici italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, che lavoravano all'aeroporto di Ghat come dipendenti della Con.I.Cos di Mondovì, e l'ingegnere canadese sono stati rapiti "tra le sette e le otto di ieri mattina nel corso di un sequestro a mano armata perpetrato da ignoti mentre si trovavano sulla via che collega la zona di Tahala e Ghat", ha spiegato Aysa.

Il portavoce ha aggiunto che il sindaco di Ghat, Komani Saleh, ha convocato una riunione d'emergenza con tutti gli apparati di sicurezza e militari locali per studiare il caso, che è "il primo del genere" che coinvolge cittadini stranieri nella regione di Ghat. "Il Consiglio municipale sta portando avanti i suoi sforzi per ritrovare i lavoratori spariti e farli tornare incolumi", ha detto Aysa, condannando "con forza" quanto accaduto.

Dal canto suo, il portavoce del Consiglio municipale di Ghat, Hasan Othman, aveva dichiarato ieri all'agenzia libica 'Press Solidarity' che "il gruppo responsabile del rapimento è un gruppo fuorilegge", escludendo che si tratti di una "banda di terroristi".

La notizia del rapimento dei due italiani in Libia ha raggiunto il ministro degli Esteri a New York dove si trova per l'Assemblea Onu: "Seguiamo il caso minuto per minuto", afferma in una intervista a Repubblica, "l'Unità di Crisi della Farnesina è in contatto con le famiglie. Al momento non ci sono indicazioni ed è troppo presto per attribuire una matrice precisa ai sequestratori".

"Il rapimento dei nostri due connazionali in Libia credo risponda a una logica di semplice criminalità e non sia legato ad aspetti terroristici, come avvenne per i quattro lavoratori della Bonatti" Lo ha detto a Voci del Mattino, Radio1 Rai, Gian Franco Damiano, Presidente della Camera di Commercio italo-Libica. "La Conecos, la ditta per cui lavorano Calonego e Cacace, opera in quella zona da anni. Conosco personalmente il titolare e l'ingegnere che dirige i lavori in Libia e posso assicurare che hanno sempre tutelato la sicurezza dei propri dipendenti. Quella non è una regione estremamente pericolosa, come si dice. Certo, è una zona di traffici, nella quale è forte la presenza di alcune tribù ma soprattutto non dobbiamo dimenticare che, all'epoca della rivoluzione, sono evasi dalle carceri 17 mila detenuti comuni: un piccolo esercito di delinquenti che si è spalmato su tutta la Libia. Le attività imprenditoriali italiane in Libia - ha spiegato Damiano - attualmente si concentrano in particolare nelle zone di Tripoli, considerata più tranquilla, e di Bengasi.

Le attività principali sono nel campo dell'edilizia, dell'impiantistica, delle consulenze. Ovviamente, c`è stato un calo dal 2011 in poi e ulteriormente dopo la chiusura dell'ambasciata italiana, un anno e mezzo fa, ma siamo sempre stati presenti. All'epoca di Gheddafi le nostre commesse, soprattutto nel settore edilizio, erano anche frutto della collaborazione con ditte private locali. Adesso, invece, si concentrano prevalentemente su incarichi governativi o di entità locali, come dimostra anche il lavoro svolto all'aeroporto di Ghat, gestito dal Ministero dei Trasporti libico.

Peraltro - ha concluso il presidente della Camera di Commercio Italo-libica a Voci del Mattino - la crisi economica in Italia spinge molti piccoli imprenditori ad accettare anche situazioni in cui vi siano componenti di rischio pur di lavorare. Ricevo parecchie telefonate in questo senso".

Nell'ottobre del 2014 era sfuggito a due imboscate da parte dei predoni del deserto ma in Libia, dopo un breve periodo a casa, nel bellunese, aveva voluto ritornarci quasi subito.  All'agguato di ieri però, Danilo Calonego, 68 anni di Peron di Sedico, non è riuscito a fuggire ed è stato rapito ieri mattina a sud della Libia al confine con l'Algeria con un altro italiano, il piemontese Bruno Cacace, e un canadese dipendenti di una società che lavora per l'aeroporto di Ghat.

"La Libia è tremenda dopo Gheddafi - diceva due anni fa - un disastro". Giramondo per vocazione Calonego aveva iniziato a lavorare come apprendista meccanico a Sospirolo (Belluno) per poi trasferirsi per dieci anni in Svizzera e quindi nel 1979 in Libia. Il meccanico bellunese si è sposato due volte - come indicano i quotidiani locali - dalla prima moglie ha avuto due figlie e una terza figlia dalla seconda moglie, una marocchina.

I lavoratori italiani rapiti in Libia lavorano per la Conicos di Mondovì, attiva dal 1977 con lavori importanti nel settore delle costruzioni in Italia e all'estero con commesse di ingegneria civile, con strade e autostrade. È stata fondata da Celeste Bongiovanni e Giorgio Vinai. Nel 2011 l'azienda stata rilevata interamente da Vinai e ha concentrato, si legge sul sito della società, "il business delle opere civili e infrastrutturali in Libia". Fra i progetti portati a termine quelli di Tobruk, Derna, El Beida e Bengasi. Due le sedi centrali: quella di Mondovì, appunto, e quella di Tripoli.

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