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“Diritto in pillole”: non può essere contestato il reato di guida in stato di ebbrezza attraverso la sola percezione di alito vinoso o di altri sintomi

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta in merito all’accertamento dello stato di alterazione psico-fisica da assunzione di alcolici, pronunciando l’interessante sentenza n. 2568 del 17.01.2013 con la quale ha ribadito il proprio orientamento che privilegia il principio del “favor rei”.

Il caso che è stato affrontato riguarda un accertamento effettuato in occasione di un sinistro stradale in assenza di strumenti tecnici e per il solo tramite della percezione soggettiva degli agenti verbalizzanti. In particolare, l’imputato veniva condannato ai sensi dell’art. 186, comma secondo, del Codice della strada sulla base del riscontro di alito vinoso e della grave portata dell’incidente.

I giudici d’appello, infatti, aveva concluso che il tasso alcolemico riscontrabile sulla persona dell’imputato fosse molto superiore ai 0,5 g/l (soglia minima oltre la quale si è considerati in stato di ebbrezza) in quanto con un tasso di poco superiore non si va ad urtare contro un palo dell’illuminazione pubblica con la propria autovettura senza una ragione specifica.Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, poiché il giudice di merito ometteva di ritenere integrata l’ipotesi meno grave contemplata dall’art. 186 del Codice della strada e priva di rilievo penale ma solo amministrativo, in assenza di un accertamento strumentale della condizione di ebbrezza dell’imputato che riscontrasse un tasso alcolemico superiore allo 0,8 g/l (soglia minima penalmente rilevante).

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso, ribadendo un orientamento ormai consolidato per il quale lo stato di ebbrezza può essere accertato con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, ma si deve ravvisare l’ipotesi più lieve e priva di rilevanza penale quando non sia possibile affermare oltre ogni ragionevole dubbio che la condotta dell’agente rientri nell’ambito delle altre due ipotesi di cui alle lettere b) e c) dell’art. 186, secondo comma, del Codice della strada.

Il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, pur condivisibile nella parte in cui riteneva dimostrata una non irrilevante condizione di ebbrezza dell’imputato, non era tuttavia in grado di attestare oltre ogni ragionevole dubbio che tale condizione di ebbrezza fosse in grado di integrare il reato punito e previsto dalle lettere b) e c) dell’art. 186, secondo comma.
Solo l’utilizzo di indagini che si avvalgano di esami ematici, etilometrici o di liquidi biologici caratterizzati da profili di precisione e di certezza può permettere di configurare la condotta come penalmente significativa. In assenza di ciò appare doveroso, dunque, collocare la condotta nel contesto della categoria più favorevole per il reo, cioè quella che prevede una sanzione amministrativa e non una sanzione penale.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna impugnata, non essendo il fatto addebitato all’imputato previsto dalla legge come reato. CS.

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