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Obama, ultimo discorso su stato dell’unione: “contro la paura America accetti la sfida del futuro”

Washington (Usa), 13 Gen 2016 - Un discorso per riaccendere l’ottimismo in un paese teso, nervoso e diviso. Da domani si parlerà d’altro in America, di primarie e della campagna elettorale per scegliere il nuovo presidente, ma nella serata americana il palco è stato ancora di Barack Obama, forse l’ultima occasione per lui di ispirare la stagione politica che verrà.  Il futuro appartiene all’America, questo il centro del messaggio di Obama ma l’America deve accettare il cambiamento straordinario che sta per arrivare. Una mutazione nel modo di vivere, lavorare comunicare, gravida di rischi e di opportunità in un mondo più insidioso e imprevedibile che mai, ma nel quale l’America resta l’unica superpotenza. La retorica del declino, scherza il presidente, è fiction di bassa lega. La classe media continua a perdere confidenza e terreno, ammette Obama, ma c’è l’orgoglio del lavoro fatto nelle sue parole, i 40 milioni di posti creati durante la sua presidenza, la rinascita del manifatturiero, la svolta energetica verde, la riforma sanitaria, gli investimenti per l’educazione.

“Non farò un elenco dei provvedimenti più urgenti che questo parlamento dovrebbe adottare, stavolta parlerò dell’America e dei prossimi 10 anni” torna alle origini, a otto anni fa Obama, e ritrova una retorica rivolta ad ispirare una trasformazione innanzitutto morale nel paese, alla necessità di ritrovare le ragioni della convivenza in un paese ancora lacerato dalla partigianeria, dalla faziosità, dal tribalismo. Poi però sferza, tra le righe, i rivali dell’altro partito, i repubblicani in crisi di leadership, ma che hanno oggi una maggioranza schiacciante sia alla camera che al senato. E sulla politica estera che Obama attacca direttamente i due candidati repubblicani di punta: Donald Trump e Ted Cruz.  L’Isis, come al Qaida, verrà annientato, dice, ma non basta per farlo un “bombardamento a tappeto in Sira” come aveva suggerito Cruz. Una frase buona per i notiziari della sera, dice Obama. L’America deve usare tutto il suo potere contro il terrorismo, eliminare i nemici come abbiamo fatto con Osama Bin Laden ma poi trovare alleanze, forgiare coalizioni, ricostruire un ordine in un mondo in cui la principale minaccia non sono gli “imperi del male” ma gli stati falliti.

L’Isis è la più grave minaccia in questo momento, ammette Obama, più volte accusato di aver sottovalutato la pericolosità dello Stato Islamico, ma non è una minaccia vitale per l’America. E quando l’Isis sarà stato annientato non per questo il terrorismo scomparirà, sostiene, sorgeranno altre minacce che dovremo sapere affrontare insieme agli altri. Serve una strategia disciplinata e paziente che usa ogni elemento del nostro potere come nazione. L’America agirà da sola, se necessario, per proteggere i nostri amici ed alleati, ma su questioni globali noi mobiliteremo il mondo intero assieme a noi e faremo in modo che ogni nazione eserciti tutto il proprio peso. L’America non sarà più il poliziotto del mondo, questo non è declino, dice Obama, anzi, la nostra potenza oggi non ha rivali e il nostro standing nel mondo è altissimo, significa però aver capito le lezioni del Vietnam e dell’Iraq. Non possiamo combattere in tutto il mondo né pensare di ricostruire ogni paese che viene colpito. Tra i successi di questo approccio Obama menziona l’accordo con l’Iran, che ha fermato la corsa alla bomba atomica di quel paese e quello con Cuba, che prendendo atto della fine della guerra fredda, restituisce agli Stati Uniti la leadership in questo emisfero. Poi attacca direttamente Trump: "Per questo dobbiamo respingere ogni politica che attacca la gente a causa della razza o della religione. Non è un problema di correttezza politica. E’ un problema di comprensione di cosa è che ci rende forti. Il mondo non ci rispetta solo per il nostro arsenale; ci rispetta per la nostra diversità e apertura e per il modo con cui rispettiamo tutte le fedi. Sua Santità papa Francesco, ha detto da questo podio da cui io parlo stasera “quando i politici insultano i musulmani, quando una moschea viene vandalizzata, quando un ragazzo viene vilipeso, questo non ci rende più sicuri".

Dopo otto anni di presidenza Obama l’America è più che mai un paese diviso. Come uno schermo televisivo splittato in due, scrive il Washington Post, agli elettori i due grandi partiti offrono racconti diametralmente opposti. L’amministrazione è spaccata e disfunzionale, divisa tra una presidenza progressista e un congresso dominato dai repubblicani, dove i moderati dei due schieramenti stanno sempre più perdendo terreno. Per affrontare le sfide del futuro serve unità dice Obama, e per ottenerla non basta l’impegno dei singoli, e neppure quello di un Presidente che, in questo senso, non ha certo mantenuto la promesse di otto anni fa quando parlava di sanare le ferite ideologiche dell’America.  Bisogna cambiare il sistema, dice Obama. Bisogna riformare le regole delle campagne elettorali, impedire ai grandi capitali di dominare la politica. Non possiamo accettare che siano poche famiglie, dice, a finanziare le campagne elettorali, a decidere, in ultima analisi in quale parte del mondo mandare a morire i soldati americani o quando converrà a loro provocare una nuova crisi. Come notano i principali commentatori, però, nessuna delle richieste della presidenza in questo senso è stata mai presa in considerazione dal congresso.

Non abbiamo mai aderito, citando le parole di Lincoln “ai dogmi del quieto passato” ma abbiamo pensato ed agito in modo nuovo. Abbiamo fatto cambiamenti che ci hanno consentito di estendere la promessa americana verso la nuova frontiera, a un numero sempre maggiore di persone – e siccome lo abbiamo fatto siamo emersi più forti che mai. Obama parla con passione dei cambiamenti che attendono l’America e il mondo, in un tempo in cui sembrano non tenere più le certezze del passato. Proprio per questo indica una strada di sempre maggiore intervento dei poteri pubblici per proteggere i deboli, investire in ricerca, sostenere la mobilità del lavoro, consentire che la distruzione creativa non aumenti ancor il divario tra ricchi e poveri.

Tra i successi della sua presidenza Obama annovera la legislazione per la libertà di Internet e gli investimenti per le tecnologie verdi, i più grandi della storia, culminati con l’accordo di Parigi sul clima e con il crollo dei prezzi del petrolio. La benzina a due dollari al gallone non è male, scherza il presidente che indica nella ricerca medica la nuova frontiera.  Quando scoprimmo che i Russi ci stavano superando nella corsa allo spazio inventammo da zero un programma spaziale che ci ha portato a passeggiare in pochi anni sulla luna. Ora vorrei che l’America fosse il paese in grado di battere il cancro una volta per sempre.