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Migranti, ministri UE decidono di non decidere: tutto rinviato a ottobre e dalla mezzanotte di ieri in Il presidente Orban ungherese impone la legge anti immigrati.

Budapest (Ungheria), 15 Set 2015 – Ancora una volta gli inutili ministri degli interni Ue hanno deciso di non decidere. Come al solito è gente portatrice di interessi di parte e non comunitari e nel frattempo l’intera Europa è invasa da un esercito di disperati e fanatici religiosi che con la loro presenza vogliono imporci anche il loro fanatismo religioso. E su quest’ultimo, e solo questo, ci spiace ammetterlo, siamo d’accordo col poco democratico di ultradestra presidente dell’Ungheria Orban. Ieri, infatti, ancora una volta l'Europa resta divisa sull'emergenza immigrazione. L'ultima maratona a Bruxelles finisce con un accordo a metà e un rinvio. Tutto è rimandato ora al Consiglio esteri del prossimo 8 ottobre in Lussemburgo nella speranza che le divergenze ancora evidenti siano sanabili.

Se da un lato c'è il via libera sulla realizzazione degli hotspot, sulla politica dei rimpatri e sul rafforzamento di Frontex, alcuni paesi non hanno voluto sottoscrivere l'impegno alla redistribuzione di 120mila profughi. "Non è stato possibile trovare l'unanimità" ha detto Jean Asselborn, ministro degli Esteri del Lussemburgo ma "ci sarebbe un accordo suffragato da una larga maggioranza e il Consiglio può decidere per maggioranza qualificata".

A fare muro sono soprattutto Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania che si sono messi di traverso ed hanno impedito di trovare un'intesa unanime sulla bozza di conclusioni. Budapest ha anche insistito nel voler essere cancellato dalla lista dei Paesi beneficiari dei ricollocamenti.

Questi paesi si sono dunque opposti al testo di conclusioni proposto al Consiglio dei ministri degli Interni, ottenendo che i dettagli della ripartizione vengano negoziati nel prossimo mese. Resta "l'impegno a ricollocare 120mila" profughi, ma sparisce qualsiasi vincolo sui meccanismi di ripartizione previsti dalla proposta della Commissione europea e si parla di "flessibilità", a seconda degli sviluppi sul terreno.

Intanto, col via libera di oggi al primo schema di 40mila ricollocamenti (26mila dall'Italia e 14mila dalla Grecia) si costituisce la base legale per l'avvio dell'approccio 'hotspot', centri di smistamento per distinguere i profughi dai migranti economici. E proprio questi ultimi dovrebbero essere trattenuti in Italia e Grecia, in centri attrezzati regolati da una "certa severità", come spiega il ministro dell'Interno Angelino Alfano, in attesa del rimpatrio.  Il titolare del Viminale chiede però l'applicazione degli hotspot in modo graduale, in parallelo ai ricollocamenti, ma soprattutto condizionato "al funzionamento dei rimpatri", che siano "gestiti da Frontex" con "risorse comunitarie" e sotto la responsabilità europea.

Una fase delicatissima, perché ad essere in gioco è il trattato di Schengen, che sembra indebolirsi ulteriormente dopo che Vienna e Bratislava hanno espresso l'intenzione di seguire l'esempio di Berlino e i ripristinare i controlli alle frontiere, minacciando così di scatenare un 'effetto domino' che potrebbe peggiorare la già complicata situazione nel Vecchio continente. La Polonia sta valutando cosa fare al riguardo, e anche il ministro francese Bernard Cazeneuve minaccia di percorrere quella strada se le cose con l'Italia non dovessero funzionare.

La pressione alle frontiere resta altissima. Dalla mezzanotte in Ungheria è entrata in vigore la rigida normativa anti immigrazione: l'ingresso illegale nel Paese sarà d'ora in avanti considerato un reato, punibile con l'arresto e la reclusione fino a tre anni. La frontiera con la Serbia in corrispondenza di Roeszke - dove vi è un centro di accoglienza - è stata in pratica militarizzata con la presenza di migliaia di militari e mezzi blindati.

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