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In manette le donne dell’ ‘ultimo’ padrino di cosa nostra: tra le 18 persone fermate vi sono cinque donne.

Durante la brillante operazione degli investigatori dell’Arma calabrese sono state fermate diciotto le persone, accusate di associazione mafiosa, tra queste cinque donne.

In manette dunque Margherita Tegano, convivente del super boss, Caterina e Giuseppa Condello, cugine del latitante, tutte accusate di aver ostacolato la cattura del loro congiunto, Giuseppa Santa Cotroneo, Maddalena Martino e Mariangela Amato, che i carabinieri indicano come figure principali con compiti, all’interno della cosca, di prestanome in molte attività imprenditoriali della famiglia Condello. Giuseppa Santa Cotroneo, suocera dell’ergastolano Pasquale Condello, 49 anni, inoltre – come ha affermato il pentito Paolo Jannò – si sarebbe adoperata nel nascondere le armi e le auto e favorito la latitanza di alcuni capi storici del sodalizio criminale Imerti-Condello-Tegano, coinvolti negli anni Ottanta e inizio Novanta nella guerra di mafia a Reggio Calabria che ha provocato circa mille morti.

I fermati dell’operazione chiamata «Lancio», coordinata dai sostituti procuratori antimafia Giuseppe Lombardo e Rocco Cosentino, sono quasi tutti parenti di Domenico, meglio conosciuto come «Micu u pacciu». Dopo l’arresto del cugino Pasquale Condello, il «Supremo», avvenuto a febbraio del 2008, dopo 11 anni di latitanza, Domenico Condello, secondo gli inquirenti, avrebbe preso il comando della famiglia. L’ultimo padrino, ancora in libertà, con alcuni ergastoli da scontare, poteva contare sino ad oggi su una rete di parenti e fedelissimi, pronti a formare uno schermo protettivo per rendere invisibile la sua latitanza.

I fermati utilizzavano per i loro spostamenti auto sempre diverse e parlavano al telefono usando termini gastronomici, per rappresentare situazioni delicate riguardanti il latitante. Questo comunque non ha impedito al Ros di trovare, nel gennaio dello scorso anno, un covo ancora «caldo» con appunti di auguri indirizzati a parenti e attrezzature riconducibili a Domenico Condello.

Quella di oggi è la prosecuzione di un’altra inchiesta dei carabinieri, «Reggio Nord», portata a termine a ottobre del 2010 con 14 ordinanze di custodia cautelare. Anche allora a finire in carcere parenti e gregari del clan Condello, ma anche due imprenditori, Pasquale Rappoccio e Pietro Siclari, accusati dagli inquirenti di aver riciclato soldi della cosca Condello. Anche nell’operazione «Lancio» le microspie piazzate dal Ros e i video, hanno descritto i rapporti della consorteria mafiosa con alcuni imprenditori. Come i fratelli Giulio Giuseppe e Francesco Lampada, originari di Reggio Calabria, ma da tempo trapiantati a Milano. Il Ros li indica come «a disposizione della cosca capeggiata da Pasquale Condello, e rappresentano quelle tipiche figure criminali che si innestano pienamente nel substrato mafioso». Giulio Giuseppe e Francesco Lampada sono finiti in carcere nei mesi scorsi nell’ambito dell’operazione «Infinito» coordinata dalla dda di Milano e Reggio Calabria. Con loro in galera anche il giudice reggino Vincenzo Giglio e il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli (Pdl).

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