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Maxi sequestro a Unicredit per frode fiscale

La procura di Milano ha sequestrato 245 milioni di euro a Unicredit nell'ambito dell'inchiesta sull'operazione Brontos, una presunta evasione fiscale coninteressi travestiti da dividendi in una vicenda in cui compaiono anche managerdi Barclays. Gli indagati sono in tutto una ventina e tra loro anche Alessandro Profumo,  ex amministratore delegato di Unicredit.

La costruzione finanziaria, stando alla lettura che la Procura offre degli esiti della perquisizione operata il 12 giugno 2009 nei server informatici di Unicredit dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano, sarebbe stata finalizzata a far credere che Unicredit stesse investendo in un contratto di «pronti contro termine» su «strumenti partecipativi di capitale», quando invece con Barclays tutto sarebbe stato in partenza costruito e concordato a tavolino perché Unicredit in realtà facesse un investimento in un deposito interbancario presso Barclays. La differenza è cruciale perché, mentre Unicredit avrebbe dovuto pagare le tasse sul 100% degli «interessi» di un deposito interbancario, in base alla normativa fiscale italiana ha invece potuto pagare soltanto il 5% sui «dividendi» dell’apparente operazione «pronti contro termine», perché per legge essi sono appunto deducibili al 95%.

Proprio l’artificioso travestimento in «dividendi» di quelli che in realtà erano «interessi», dunque, secondo l'indagine del procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha generato a beneficio di Unicredit l’illecito enorme risparmio d’imposte Ires e Irap: al fisco italiano sarebbero così stati sottratti 745 milioni di euro di imponibile nelle dichiarazioni relative al 2007 e 2008 di Unicredit Corporate Banking spa e Unicredit Banca spa, e in quelle del 2008 di Unicredit Banca di Roma spa. Il giudice delle indagini preliminari Luigi Varanelli, accogliendo la richiesta della Procura, ha calcolato in 245 milioni di euro il profitto per Unicredit corrispondente al danno per l’Erario, e a fini di confisca ne ha autorizzato il sequestro preventivo, eseguito in Banca d’Italia sul conto di corrispondenza di Unicredit. L'istituto — come le molte altre banche e assicurazioni italiane che utilizzarono i pacchetti proposti da Barclays e Deutsche Bank, che ora potrebbero subìre analoghe ripercussioni se l’inedito provvedimento di sequestro dovesse reggere al ricorso difensivo al Tribunale del Riesame — prospetta l’irrilevanza penale e argomenta la liceità tributaria di queste operazioni, che inquadra nella categoria dell’«ottimizzazione fiscale» in arbitraggi tra giurisdizioni differenti a caccia dello scalino fiscale più favorevole nei vari Stati.

 Il suo amministratore delegato dell’epoca, il banchiere Alessandro Profumo, è però intanto indagato per l’ipotesi di reato di «dichiarazione fiscale fraudolenta mediante altri artifici» (da 18 mesi a 6 anni di pena) per aver dato il via libera, con la propria sigla, alle richieste di approvazione della complessa operazione indirizzategli dagli uffici specializzati del suo gruppo, nei quali sono pure indagate altre 16 persone, compresi gli allora responsabili in Unicredit spa dell’area Finanza (Luciano Tuzzi), dell’area Affari fiscali (Patrizio Braccioni) e della Direzione Programmazione-finanza-amministrazione (Ranieri De Marchis). Altri tre indagati appartengono invece alla banca inglese proponente l’operazione, Barclays, e tra essi c’è anche Rupack Chandra, vicepresidente dell’area Finanza strutturata.