Sudan, 17 Apr 2023 - Tra accuse incrociate di colpo di Stato e uno scenario da guerra civile, il Sudan è nel pieno di uno scontro sanguinoso tra due “uomini forti” che si contendono il potere.
Dopo due giorni di battaglie, a malapena interrotte da una fragile tregua umanitaria di poche ore, i morti sono decine, i feriti centinaia.
Protagoniste del braccio di ferro armato sono da un lato le forze regolari del generale Abdel-Fattah Al-Burhan, capo del Consiglio di transizione che guida il Paese; dall'altro le milizie paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (Rsf) controllate dal numero due della giunta, Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”.
Quest'ultimo è noto per fare affari assai poco trasparenti nell'estrazione dell'oro e nel contrabbando, ma diverse fonti lo descrivono anche legato alla Russia e al gruppo mercenario Wagner.
Certo è che si fa sempre più lontana la transizione alla democrazia, dopo i 30 anni di dittatura dell'autocrate Omar Al-Bashir, deposto nell'aprile 2019.
Combattimenti sono segnalati intorno al comando generale dell'esercito a Khartum e nella base di Merowe, circa 380 km a nord della Capitale. Al momento, stando alle poche e frammentarie notizie che trapelano, è l'esercito regolare che sembra prevalere.
Dagalo ha sostenuto di controllare il “90% delle aree militari in Sudan” anche grazie a numerose defezioni: tanto che a suo dire Al-Burhan si nasconderebbe "sotto terra” e “deve solo arrendersi”. L'Intelligence militare sudanese fa sapere al contrario che l'esercito controlla “tutti i siti militari della Capitale”.
Un bilancio attendibile del numero delle vittime è quello stimato dall'Organizzazione mondiale della Sanità che parla di più di 83 morti e 1.126 feriti, per metà nella capitale Khartum. Cifre destinate ad aumentare dopo le cruente battaglie delle ultime ore.
L'Oms riferisce inoltre che gli spostamenti nella capitale sono limitati e avverte che le forniture mediche "sono limitate", le risorse distribuite prima del conflitto "sono esaurite". In tal senso, l'agenzia delle Nazioni Unite chiede alle parti belligeranti di “rispettare la neutralità delle cure mediche e a garantire l'accesso illimitato alle strutture mediche per i feriti”.
Lo spazio aereo sul Sudan intanto è stato chiuso e a Khartoum, dove mancano acqua ed elettricità, i civili si avventurano all'esterno rischiando di finire sotto il fuoco incrociato.
Il Programma alimentare mondiale (Pam-Wfp) delle Nazioni Unite, la più importante organizzazione umanitaria dedicata all'assistenza alimentare, annuncia la sospensione delle operazioni nel Paese, dopo l'uccisione di tre suoi dipendenti e il ferimento di altri due nel Darfur settentrionale.
Un aereo del Pam è stato poi danneggiato dai tiri incrociati allo scalo di Khartoum.
In questo quadro è stato annunciato che il capo dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, andrà “immediatamente” in Sudan per spingere esercito e paramilitari a concordare un cessate il fuoco.
Anche i confinanti Egitto e Sud Sudan e il vicino Kenya si sono offerti di mediare.
La Lega Araba terrà una riunione di emergenza al Cairo, proprio su richiesta dell'Egitto ma anche dell'Arabia Saudita, due attori influenti in Sudan. L'Egitto non nasconde la preoccupazione per un video apparso sui social che mostra diversi soldati egiziani apparentemente nelle mani degli uomini della Rsf.
“Gli scontri in atto tra le forze armate e le Forze di supporto rapido del Sudan minacciano la sicurezza dei civili e minano gli sforzi tesi a ripristinare la transizione democratica”, dice il segretario di Stato americano Antony Blinken, annunciando di essersi consultato con i ministri degli Esteri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
"Abbiamo concordato che è essenziale che le parti interrompano immediatamente le ostilità senza precondizioni", fa sapere Blinken. "Sollecito il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan e il General Mohamed Hamdan Degalo a intraprendere misure attive per ridurre le tensioni e assicurare la sicurezza di tutti i civili". Blinken aggiunge che l'unica via d'uscita dalla crisi è "il ritorno ai negoziati che sostengono le aspirazioni democratiche del popolo sudanese".
Il governo italiano ha espresso “vivissima preoccupazione per il protrarsi degli scontri” e la loro estensione a “diverse zone del Sudan”: così il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in contatto con l'ambasciata d'Italia a Khartoum e altre ambasciate europee per monitorare la sicurezza dei circa 150 connazionali sul posto e valutare eventuali “opzioni a tutela della loro incolumità”. Per Tajani "soltanto un cessate il fuoco immediato con la ripresa dei negoziati potrà consentire di giungere a un accordo politico inclusivo per la formazione di un governo civile di transizione che porti il Sudan a elezioni democratiche".
Papa Francesco durante il Regina Coeli ha sottolineato che segue con preoccupazione gli avvenimenti in Sudan: "Sono vicino al popolo sudanese, già tanto provato, e invito a pregare affinché si depongano le armi e prevalga il dialogo per riprendere insieme il cammino della pace e della concordia".
Il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato lo scoppio dei combattimenti rivolgendo "l'invito ai leader delle Forze di supporto rapido e delle Forze armate sudanesi a cessare immediatamente le ostilità, ripristinare la calma e avviare un dialogo per risolvere l'attuale crisi".
Guterres ha invitato gli Stati membri delle Nazioni Unite nella regione a sostenere gli sforzi per ristabilire l'ordine, dopo aver parlato con il presidente egiziano al-Sisi e il presidente della Commissione dell'Unione africana Faki Mahamat, ma anche con una delle parti in guerra, il comandante della Rsf Dagalo, proponendosi di parlare anche con l'altra parte, il leader governativo al-Burhan.










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