Piacenza, 25 Lug 2020 - "Principalmente parlavo con Montella, il quale mi diceva che comunque tutti gli altri carabinieri della stazione erano 'sotto la sua cappella', compreso il comandante Orlando. Alcune volte ho parlato anche con Falanga". Così, lo scorso gennaio, davanti agli investigatori, il giovane pusher marocchino che passava le informazioni ai carabinieri infedeli della caserma Levante di Piacenza, descrive la figura dell'appuntato Giuseppe Montella, il leader del gruppo, conosciuto molti anni prima perché faceva il preparatore atletico di una squadra di calcio di cui aveva fatto parte.
È quanto emerge dalle oltre 900 pagine della richiesta di misure cautelari firmata dalla procura piacentina titolare dell'inchiesta 'Odyssesus'. ''Montella'', spiegava ancora l'informatore, ''in modo molto esplicito mi ha detto che se avessi avuto qualche operazione 'cotto e mangiato', senza svolgere indagini lunghe, una parte del denaro e dello stupefacente pari al 10% poteva essermi data come compenso''. L'informatore veniva anche tranquillizzato dallo stesso carabiniere che ''nel caso di eventuali controlli potevo fare il suo nome e anche chiamarlo personalmente''.
Le registrazioni audio delle dichiarazioni del 26enne - già in passato arrestato per spaccio e diventato nel frattempo informatore dell'appuntato Giuseppe Montella, - erano state fatte ascoltare in procura dal maggiore dei carabinieri Rocco Papaleo, oggi comandante della Compagnia di Cremona e all'epoca alla guida del Nucleo investigativo di Piacenza, convocato in quell'occasione per un'altra indagine, e che ha così dato il via all'inchiesta.
Giacomo Falanga, uno dei carabinieri arrestati, ha respinto tutte le accuse. Lo ha spiegato il suo legale, Daniele Mancini, al termine dell'interrogatorio. La foto con i soldi in mano accanto a due spacciatori? "Una vincita al gratta e vinci 5 anni fa". Il nigeriano pestato? "Nessuna violenza, una spacconata di Montella. È caduto durante l'inseguimento". Il militare, ha spiegato l'avvocato Daniele Mancini, "ha risposto a tutte le domande e ha fornito tutte le delucidazioni sugli episodi che lo riguardano. Lui ha un tenore di vita normalissimo e nessun indizio che lo colleghi alla droga. È molto provato". Secondo l'avvocato Falanga è estraneo a ogni addebito. La foto nella quale mostra delle mazzette di denaro con Montella e i due fratelli Daniele e Simone Giardino (entrambi arrestati), "non ha nulla a che vedere con Gomorra. Viene dai social - dice l'avvocato - è del 2016, era su facebook con tanto di commenti ed è il frutto di una vincita al gratta e vinci". Quanto alla vicenda delle presunte torture subite da uno spacciatore egiziano in cui Falanga dice che i suoi due colleghi Montella e Cappellano devono fare il "poliziotto buono e il poliziotto cattivo", il legale nega le violenze e aggiunge. "Non si può condannare una persona per una battuta, le cose vanno contestualizzate". "Falanga è estraneo ad ogni violenza e alle ipotesi di spaccio - il nigeriano non è stato picchiato in sua presenza, è stata una spacconata di Montella dire che lo avevano massacrato di botte, in realtà è caduto durante l'inseguimento". L'avvocato non può però negare la partecipazione di Falanga agli arresti. "Ha partecipato alle operazioni nel momento in cui venivano pianificate ma non sapeva cosa c'era a monte". Insomma, non si sarebbe accorto di nulla.
Salvatore Cappellano, uno degli appuntati dei carabinieri fino a mercoledì in servizio alla Stazione di Piacenza Levante, si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l'interrogatorio di garanzia oggi in carcere a Piacenza, secondo quanto si apprende. Cappellano è difeso dall'avvocato Talita Zilli. Gli altri tre carabinieri sentiti tra ieri e oggi all'interno del penitenziario hanno invece collaborato rispondendo alle domande di gip e Pm.
Giuseppe Montella, l'appuntato dei carabinieri al centro dell'indagine della procura di Piacenza, è "molto provato" e "credo proprio" che risponderà alle domande del gip. Lo ha detto il suo avvocato, Emanuele Solari, arrivando poco fa al carcere "Le Novate" di Piacenza per l'interrogatorio di garanzia del suo assistito. Secondo l'indagine, coordinata dal procuratore capo di Piacenza Grazia Pradella con i sostituti Antonio Colonna e Matteo Centini, i carabinieri della stazione Piacenza Levante fin dal 2017 avrebbero messo in piedi un giro di arresti illegali, spaccio di droga, pestaggi ed estorsioni sia a fini economici sia per accrescere il proprio prestigio professionale. L'appuntato Montella, dice il Gip nell'ordinanza, era convinto di poter tenere "qualunque tipo di comportamento, vicendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile". Non è così, però, secondo il suo avvocato, Emanuele Solari.
"Devo prendere una panetta (di hashish) e faccio gli ovuli. Minchia, gli ovuli li vendiamo subito… Ogni ovulo lo vendo a 100, 120 euro. Li vendo a occhi chiusi, che spettacolo". Parlava così, secondo le intercettazioni riportate negli atti dell'indagine, l'appuntato dei carabinieri Giuseppe Montella, principale indagato nell'inchiesta della procura di Piacenza che ha ricostruito come i militari in servizio nella caserma Levante avessero messo in piedi un giro di arresti illegali, spaccio di droga, pestaggi ed estorsioni fin dal 2017. "Io se gli faccio vedere gli ovuli quello impazzisce", prosegue Montella parlando con Daniele Giardino, uno dei pusher finiti in carcere mercoledì, e riferendosi a uno dei suoi galoppini, "gli dico: 'Io li ho pagati cari, se li vuoi stanno a tot'".
Il comando generale dei Carabinieri ha disposto il trasferimento dei vertici dell'Arma a Piacenza dopo l'inchiesta che ha portato in carcere diversi militari: a partire da ieri hanno lasciato l'incarico il comandante provinciale Stefano Savo, il comandante del reparto operativo Marco Iannucci e il comandante del nucleo investigativo Giuseppe Pischedda. I tre non sono coinvolti al momento nell'inchiesta, ma la decisione è stata presa, sottolineano fonti dell'Arma, da un lato per il sereno e regolare svolgimento delle attività di servizio e dall'altro per recuperare rapporto di fiducia tra la cittadinanza e l'Arma.
"Bisogna controllare quello che avviene nella caserme, ma monitorare anche il tenore di vita dei carabinieri. Verificare quello che postano sui loro profili social. E proteggere chi decide di denunciare". Così in un'intervista al Corriere della Sera il procuratore generale militare presso la Corte d'Appello di Roma, Marco De Paolis. "Non è un sistema" di impunità, "chi lo dice vuole danneggiare l'istituzione. Ma commette un errore grave chi parla di mele marce. Sono gruppi di delinquenti che fuori controllo diventano un vero e proprio focolaio capace di infettare l'intera caserma". "Al momento la segnalazione di illeciti compiuti da altri militari viene ritenuta contraria all'etica, anche perché si danneggia l'immagine del reparto". Le procure militari, spiega, "sono piene di anonimi che poi spesso si rivelano fondati. È arrivato il momento di prevedere, almeno per un certo periodo di tempo, il whistleblowing anche per le forze dell'ordine, garantendo loro la protezione se decidono di denunciare casi di corruzione altri reati".
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