Press "Enter" to skip to content

Sport e Benessere – La regola delle 5 W –  Rubrica a cura del dottor Andrea Melis.

Cagliari, 5 Sett 2019 - Le tecniche ad alta intensità in allenamento sono sempre state contornate da un alone di fascino e aspettative da parte di coloro che in esse investono le loro speranze per ottenere il fisico che desiderano.
Una semplice tecnica viene ritenuta o la panacea di tutti i mali o l' ultimo ritrovato pubblicato sui social network per ottenere finalmente il risultato ambito.
Se fosse così semplice saremmo tutti perfetti.
Molto spesso ho visto ragazzi e ragazze usare schede prese da internet, tanto per fare un esempio, con tecniche che richiedono perlomeno un po' di perizia e pratica, allietati dalle sensazioni forti e intense provate in allenamento con dolori post allenamento ( D.O.M.S.) forieri a loro avviso di sicuri miglioramenti.
Un meccanismo un po' perverso della serie "No Pain ? No Gain", mandato avanti per Tutto l'anno.
Quindi giustamente si pensa che sposando il contrario a Mo' di Mantra, " Yes Pain? Yes Gain " come conditio sine qua non, si ottenga finalmente quel corpo muscoloso e asciutto.
Il problema di fondo che constatavo era la totale inconsapevolezza.
Ma anche una parziale evoluzione.
Non si procedeva più per "Broscience" ma per tecniche che comunque erano comprovate, proposte da esperti del settore.
Ad ogni modo sorgevano sempre due problemi.
In primis quelle tecniche non si potevano mandare avanti sempre perché fisicamente non era sostenibile e per finire come si tornava ad allenamenti classici si aveva la sensazione di non avere fatto nulla.
In entrambi i casi molti piombavano nella frustrazione e nello sconforto.
Qual era il mio ruolo in tutto questo?
Capire e aiutare a capire.
Innanzitutto capire perché ritornando in palestra, dopo anni come atleta, da istruttore il rapporto cliente professionista era mutato così tanto in negativo.
I clienti non si facevano seguire, a parte qualche raro caso, dal personale interno ma arrivavano già corredati di schede realizzate da Personal Trainer esterni che li seguivano personalmente o a distanza nella migliore delle ipotesi.
Nella peggiore delle ipotesi da schede copia e incolla raccattate qua e là nei forum di allenamento.
Per me quando cominciai a lavorare come istruttore fu un mezzo shock.
Il posto dove avevo cominciato a lavorare come istruttore di sala era quello dove anni prima mi ero formato come atleta.
Era assurdo.
Era cambiato tutto.
Istruttori che conoscevo e che ammiravo per la loro professionalità, verve e capacità erano considerati non più dei punti di riferimento e di ispirazione ma semplici mezzi per spiegare esercizi scritti da altri professionisti con schede realizzate da altri Coach a pagamento.
Istruttori sottopagati, ahimè per forza di cose poco aggiornati, (Ti voglio vedere spendere centinaia di euro per formarti con dei corsi o laurearti in Scienze Motorie quando ti pagano 5€ l'ora e devi sbarcare il lunario magari facendo anche un altro lavoro ) e completamente demotivati non erano più il sole della sala ma la luna che brillava di una gloria riflessa degli anni passati.
La sala in compenso era il trionfo dell'anarchia, dell'insoddisfazione e del risentimento.
In tutto questo aggiungiamo anche la nascita della diatriba tra coloro che lavoravano in palestra laureati in scienze motorie e quelli che erano formati con i corsi federali sine infamia e sine lode.
In due parole guelfi e ghibellini.
Io ero il ghibellino con potenzialità per diventare guelfo, in quanto praticamente la mia vita era studio e lavoro, quindi comunque ero formato.
Il clima non era dei migliori, anzi.
Neanche il titolare era dei migliori, anzi.
La stragrande maggioranza dei problemi e della caduta qualitativa della palestra derivavano da una sua modalità lavorativa molto manipolatoria e poco efficace nel lungo termine, ma discreta nel breve.
Quando tirava troppo la corda e perdeva o clienti o personale, reclutava qualche istruttore/ Personal Trainer preparato, carismatico e bisognoso di farsi conoscere maggiormente, con la promessa di offrirgli visibilità e guadagni ( Vista la fama della società ) al fine di risollevare l' "Audience" della Palestra.
Lo piazzava in sala come perno intorno a cui ruotava tutto.
La tattica era geniale.
Dava ai clienti quella ventata di novità, di freschezza e di pseudo-ascolto che implicitamente veniva richiesta e che permetteva di attirare altri potenziali clienti.
Dava alla " Star " di turno quel velato alone di notorietà, dentro e fuori le mura della palestra, tale da appagare i classici bisogni narcisistici che un po' tutti abbiamo, a scapito di un trattamento umano ed economico molte volte, volendo usare un eufemismo, poco rispettoso.
Ad ogni modo tutta quella considerazione, da parte dei ragazzi che ti vedevano come una guida e delle ragazze che ti vedevano con occhi diversi per via del tuo ruolo come leader, agiva come fumo negli occhi per quanto riguarda il rapporto titolare e prestatore d'opera.
Ad ogni modo ero convinto dei miei mezzi e della possibilità di portare ed apportare un cambiamento persino nel modo di fare del Titolare.
In positivo ovviamente, con il massimo rispetto e schiettezza che mi caratterizza.
Da qui decisi di ripartire.
Osservai il problema, lo analizzai e impostai una strategia per migliorare la situazione.
Non per altro, dovevo lavorarci lì dentro e sentivo di avere una responsabilità e qualcosa da offrire ai clienti per riavvicinarli alla palestra e alla figura dell'istruttore.
In situazioni come queste quando devo risolvere un problema mi affido alla regola delle cinque W, quella tecnica di natura giornalistica proposta dal politologo della scuola di Chicago Harold Lasswell dove mi pongo le domande "Chi?"( Who)", Che cosa?" (What), "Quando?" (When), " Dove?" (where), "Perché" ( Why?) in relazione ad un problema da risolvere.
Il mondo era semplicemente cambiato.
Con l'avvento dei Social Network, come ad esempio Instagram, dove possiamo trovare, tramite foto e video, persone comuni che fanno cose straordinarie e persone famose che fanno cose comuni il bisogno del cliente, a mio avviso, era chiaro.
Voleva sentirsi protagonista.
Un giorno un mio collega competente e famoso, mi disse che forse la mia grandezza stava nel mettere in evidenza la grandezza degli altri.
E non è forse anche questo il lavoro di un Personal Trainer o di un Istruttore?
Aiutare i propri clienti a tirare fuori il meglio di se fisicamente e mentalmente?
Il mio collega, saggio come sempre mi aveva dato il consiglio definitivo.
Mi focalizzai sul cliente e sui suoi bisogni.
Bisogni di sicurezza, varietà, importanza e condivisione.
Mi ero puntato per far diventare i clienti protagonisti, non più spettatori passivi ma attori attivi di un processo di cambiamento fisico, mentale e sociale all'interno della palestra.
Nell'arco di qualche mese il clima era cambiato, era passato dall'essere pesante e nuvoloso all'essere solare e propositivo, ciò che mi gratificò molto furono i feedback dei clienti per quanto concerne il mio lavoro.
La palestra aveva registrato un incremento di iscritti abbastanza apprezzabile e andare al lavoro era ancora più piacevole.
Certo i problemi c'erano, non tutto si era risolto, ma il sorriso dei clienti e la loro voglia di allenarsi e divertirsi mi spingevano a dare tutto me stesso a lavoro.
Facevo anch'io i miei errori e andavo a considerarli come un momento necessario e fisiologico per poter migliorare me stesso e il mio lavoro.
Vediamo adesso di capire a livello pratico come mi sono servito delle cinque domande per poter risolvere la situazione.
Chi erano i responsabili di questo problema su cui si doveva intervenire?
Che cosa si doveva fare per intervenire ?
Quando intervenire?
Dove bisognava intervenire prioritariamente?
Quali risultati vogliamo ottenere intervenendo?
Questa modalità di cui mi servo spesso a lavoro come nella vita lo considero un vero e proprio metodo per lavorare in maniera efficace ed efficiente.
Con un po’ di flessibilità possiamo dire che sono cinque semplici domande che ci permettono di stilare un programma di allenamento utile per raggiungere risultati figli di una professionalità che non possiamo non avere.
Sono domande che molte volte un cliente ci fa quando gli presentiamo una nuova scheda, un nuovo esercizio o una nuova tecnica.
Nell'articolo precedente abbiamo introdotto l'argomento relativo alle tecniche ad alta intensità.
Dovevo cominciare da questo articolo a parlare nello specifico di una tecnica per volta, di quelle proposte una settimana fa, però ho sentito l'esigenza di scrivere questo incipit per mettere bene in luce che se non ti fai le giuste domande, che tu sia Trainer o cliente, le risposte che ti servono non le ottieni.
Se non ottieni risposte, non ottieni risultati.
Se non ottieni risultati, non ottieni clienti.
Se non ottieni clienti che hanno la giusta preparazione le tecniche ad alta intensità non serviranno a nulla.
Se non servono a nulla in determinati contesti perché usarle?
Nella creazione di un programma d'allenamento che comprenda tecniche ad alta intensità o meno, credo che non ci sia una domanda più potente, più utile e a volte più fastidiosa di questa.
La parola "Perché" può creare una domanda molto efficace.
Ci spinge a pensare, ci mette a dura prova a volte, ma cosa più importante ci spinge a crescere. A.M.