Londra, 27 Mar 2019 - La premier britannica Theresa May ha annunciato che si dimetterà se il suo accordo di divorzio dall'Ue sarà approvato. Lo ha detto ai deputati conservatori riuniti a porte chiuse. È il suo ultimo disperato tentativo di ottenere il via libera al suo piano, già bocciato due volte. May ha annunciato in una riunione del Comitato 1922 (parte del gruppo parlamentare conservatore) che non intende rimanere in carica come primo ministro per la prossima fase dei negoziati sulla Brexit.
"Sono preparata a lasciare il mio posto prima di quanto intendessi per assicurare una transizione ordinata e non traumatica della Brexit". Si confermano dunque le anticipazioni della mattinata: la May offre le sue dimissioni in cambio di una approvazione al terzo voto dell'accordo da lei negoziato con Bruxelles. Una volta ottenuta la vittoria con il via libera parlamentare al suo accordo, la May è dunque pronta a cedere il passo. A questo proposito i parlamentari conservatori hanno ricevuto indicazione di liberare le loro agende per venerdì in modo da poter essere pronti a essere presenti in parlamento per il terzo voto.
Resta l'ostacolo del veto posto dallo Speaker della Camera John Bercow che anche oggi ha ricordato come il governo deve introdurre novità sostanziali se vuole riproporre il testo dell'accordo già bocciato due volte.
Bercow aveva confermato le condizioni che aveva già posto, cioè che il testo non potrà essere ripresentato senza variazioni dal momento che quell'accordo è già stato bocciato due volte (una a metà gennaio e una a marzo). Se, come alcuni riferiscono, il governo intende riportare l'accordo al voto giovedì o venerdì, "mi aspetto che il governo rispetti il test del cambiamento", ha dichiarato Bercow, aggiungendo che l'esecutivo "non dovrebbe provare ad aggirare" la mia decisione.
Sono ben 8 le proposte parlamentari sulla Brexit alternative all'accordo di Theresa May ammesse oggi dallo speaker John Bercow al voto indicativo ai Comuni. Sono state scelte tra le 16 presentate. Una varietà che rischia di produrre "confusione" e "tempi lunghi" secondo Norman Smith, della Bbc, e che comprende opzioni di Brexit più soft (con permanenza nell'unione doganale o nel mercato unico); più hard (modello 'Trattato di libero scambio col Canada' o con uscita no deal 'gestita'); ma anche di un secondo referendum o di revoca del divorzio da Bruxelles.
Ecco le otto alternative all'accordo Brexit:
No Deal: prevede di lasciare l'Ue il 12 aprile senza un accordo.
Mercato comune 2.0: il governo aderisce allo Spazio economico europeo attraverso l'Associazione europea di libero scambio e negozia un'unione doganale temporanea fino a quando non si troveranno accordi alternativi.
Efta e See: il Regno unito resta nello Spazio economico europeo e chiede di ricongiungersi all'Associazione europea di libero scambio. Rifiuta di formare un'unione doganale ma cerca "un accordo su nuovi protocolli relativi al confine con l'Irlanda del Nord e al commercio agroalimentare".
Unione doganale: Prevede di rafforzare l'obiettivo di formare un'unione doganale nella legislazione primaria. - Piano alternativo del Partito laburista: Negozia le modifiche all'accordo sulla Brexit e la dichiarazione politica per garantire la posizione dei Labour e tramutare questi obiettivi in legge.
Revoca per evitare un no deal: Se l'accordo per il ritiro non sarà approvato prima della dead line, il governo chiederà ai parlamentari di approvare l'uscita senza accordo. E se questa non dovesse passare, il governo revocherà l'articolo 50.
Voto pubblico confirmatorio: Il governo non può attuare o ratificare l'accordo di ritiro e la dichiarazione politica a meno che e fino a quando non siano stati approvati in un referendum.
Accordi preferenziali contingenti: il Regno Unito versa i propri contributi all'Ue alla fine del 2020 e concorda con l'Ue un periodo di due anni in cui le merci del Regno Unito hanno pieno accesso all'Unione europea.
"Revocare l'articolo 50, e quindi rimanere nell'Unione Europea, minerebbe sia la nostra democrazia che la fiducia che milioni di elettori hanno messo nel governo". Così il dipartimento per la Brexit del governo di Theresa May ha respinto la petizione in cui si chiede la revoca dell'articolo 50, che ha raccolto oltre 5,8 milioni di firme, battendo tutti i precedenti record di adesione ad iniziative popolari.