Cagliari, 16 Dic 2018 - Chi sono i miserabili? Secondo il dizionario “miserabile” è una persona che denota miseria, povertà, squallore. Secondo Victor Hugo, invece, la definizione non è così semplice.
Egli, nella sua opera forse più famosa, evidenzia come la miseria non è strettamente legata allo stato sociale ed economico di una persona, ma ancora prima al suo stato d’animo. Se una persona è corrotta, crede fino ai livelli del fanatismo in un’ideale come può essere la giustizia senza considerare le situazioni concrete oppure dà più valore al denaro che alle persone, deve ritenersi più misero di chi ruba per fame, salvo poi dimostrarsi capace di misericordia.
Si tratta di un concetto universale, una tematica ancora attuale, dato che la società odierna risulta ancora divisa, nonostante siano passati secoli dal periodo in cui scrisse Hugo, fra soggetti molto ricchi e soggetti molto poveri. Quest’ultimi costretti dalla condizione sociale ed economica in cui vivono, anche a causa del disinteresse dei cosiddetti benestanti troppo concentrati su stessi per vedere cosa accade intorno a loro, si trovano nella posizione di non avere altra opportunità se non quella di delinquere.
Ecco che dopo il musical del 2012 “Les Misérables” che ha portato alla ribalta l’omonima opera di Hugo, anche il regista Franco Però ha deciso di portare in scena un tale capolavoro dalle tematiche ancora attuali.
Per l’occasione Luca Doninelli ha provveduto al riadattamento in chiave teatrale del libro monumentale (1500 pagine) dell’autore francese, tagliando diverse parti senza però far perdere i punti chiave del racconto.
In uno spettacolo in due atti della durata di circa due ore e mezza c’è l’essenza de I Miserabili, i cui personaggi sono rappresentati dagli attori del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con il Centro Teatrale Bresciano e il Teatro degli Incamminati, affiancati da Francesco Branciaroli, nei panni di Jean Valjean.
Un totale di tredici attori che si susseguono nel palco, assumendo più ruoli, e mostrando grande abilità nei cambi di scena. Infatti la scenografia è povera, giusto qualche arredo (un letto, una scrivania, una sedia), più alcuni pannelli, estratti da tre grandi colonne, dotati di dettagli differenti per rappresentare una grata, una porta, una finestra, un muro domestico, il muro di un parco. Nonostante ciò non ci si accorge di tali caratteristiche, grazie all’abilità degli attori che trasportano e spostano gli oggetti, aprono i pannelli, con naturalezza mentre recitano, dando così forma di volta in volta a scenari diversi.
I colori che dominano sono il bianco della luce e il nero dello sfondo, scelta questa che intende evidenziare i confine labili tra luce e buio, misericordia ed avidità, delinquenza e giustizia, rassegnazione per la condizione sociale e ribellione.
Tra tutti spicca il protagonista Branciaroli, abile con la sua impostazione di voce a far comprendere al pubblico i dubbi che lacerano l’animo di Valjean, nonché Francesco Migliaccio, nei panni dell’ispettore-commissario Javert. Quest’ultimo è stato in particolar modo apprezzato dal pubblico al momento del monologo interiore di Javert. Egli scopre, infatti, che il suo mondo è stato capovolto, un ex galeotto, che dovrebbe ricambiare il male subito con la vendetta, si dimostra misericordioso salvandogli la vita ed aiutandolo a scappare. Ciò è per lui inconcepibile perché nel mondo esistono solo due parti o si sta in una o si sta nell’altra.
Piccola pecca è il fatto che in diversi punti la voce degli attori non giunge agli spettatori a causa di un tono troppo fievole, alla stregua di una conversazione solo tra due persone.
A parte ciò si tratta di un ottimo spettacolo, ben allestito ed interpretato che suscita in chi lo guarda, il desiderio di leggere l’opera di Hugo, se non lo si è fatto finora. G.P.S.