Parma, 17 Nov 2017 – Nessuno rimpiangerà il boss dei boss stragista della mafia siciliana. Totò Riina è morto alle 3.37 di questa mattina nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Ieri aveva compiuto 87 anni. Operato due volte nelle scorse settimane, dopo l'ultimo intervento era entrato in coma. Riina, per gli inquirenti, nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni, era ancora il capo di Cosa nostra. Riina era malato da anni, ma negli ultimi tempi le sue condizioni erano peggiorate tanto da indurre i legali a chiedere un differimento di pena per motivi di salute. Istanza che il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto a luglio.
Ieri, quando ormai era chiaro che le sue condizioni erano disperate, il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari un incontro straordinario col boss.
Riina stava scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del '92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del '93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un'offensiva armata contro lo Stato nei primi anni '90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell'omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. A febbraio scorso, parlando con la moglie in carcere diceva: "sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere".
L'ultimo processo a suo carico, ancora in corso, era quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Ieri, nel giorno del suo 87esimo compleanno, il figlio Giuseppe Salvatore, che ha scontato una pena di 8 anni per mafia, ha pubblicato su Facebook e twitter un post di auguri per il padre.
Il "capo dei capi" è accusato delle stragi del 1992 e del 1993, nonché di decine di omicidi. E' lui che ha deciso la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992. Dal carcere proclamava ancora i suoi editti di morte, come quello contro il Pm Nino Di Matteo. Per decenni, dalla latitanza ha gestito con Bernardo Provenzano - già deceduto - la mafia siciliana e continuava a essere un punto di riferimento temuto.
A luglio scorso i legali del boss chiesero al tribunale di sorveglianza di Bologna di differire la pena o sostituirla con la detenzione domiciliare viste le gravi condizioni del loro cliente. Un'istanza seguita al provvedimento con cui la Cassazione, mostrando qualche apertura, aveva chiesto alla Sorveglianza di motivare meglio la compatibilità con il regime carcerario del boss malato. Riina ha sì molte malattie, alcune legate all'età, ma è assistito quotidianamente con "estrema attenzione e rispetto della sua volontà, al pari di qualsiasi altra persona che versi in analoghe condizioni fisiche", hanno in sostanza risposto i giudici rigettando l'istanza dei legali. Ribadendo, inoltre, che Riina era "vigile" e "lucido" e per niente redento.
In effetti fino a qualche mese fa parlando con la moglie in carcere il capo dei capi rivendicava il suo ruolo in seno all'organizzazione e ripeteva che mai si sarebbe pentito. Ventisei condanne all'ergastolo per centinaia di omicidi e stragi, Riina, è rimasto punto di riferimento per gli "uomini d'onore" di Cosa nostra. L'escalation criminale che l'ha portato ai vertici dell'associazione mafiosa ha lasciato una lunghissima scia di sangue: tra i suoi nemici interni e nelle istituzioni.