"Annuncerò la mia decisione sull'accordo di Parigi giovedì alle 15 (di Washington). Giardino delle rose della Casa Bianca. Rendiamo l'America di nuovo grande", ha twittato ieri sera il miliardario, mentre sembra profilarsi, secondo molteplici anticipazioni di stampa, l'uscita degli Usa dall'intesa internazionale negoziata dall'ex presidente Barack Obama e firmata nel dicembre del 2015 da 195 Paesi, sotto l'egida dell'Onu.
Ma con Trump nulla è mai detto fino alla fine. L'America, la seconda nazione più inquinante del globo dopo la Cina, si era impegnata a ridurre le emissioni del 26%-28% entro il 2025. La scelta appare tra un ritiro formale, che può richiedere tre anni e consentire ripensamenti in corsa oppure un'uscita "veloce" dal trattato Onu su cui l'accordo si basa. Il New York Times indica la possibilità di una terza via ma che porterebbe comunque allo sfilarsi degli Usa, cioè a dire l'invio dell'accordo di Parigi in Senato per la ratifica che richiederebbe i due terzi dei voti. Si tratta di un traguardo praticamente impossibile, considerando che i repubblicani controllano in Senato 54 seggi su 100.
E se il sindaco di New York, Bill De Blasio, ha sfidato il presidente, annunciando che la città rispetterà gli impegni sul clima anche se gli Usa si ritireranno, la grande industria a stelle e strisce è in prevalenza schierata a favore dell'intesa, dalla Exxon Mobil alla Apple. L'amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, ha minacciato di uscire dal consiglio degli adviser della Casa Bianca se Trump confermerà la volontà di venir meno agli impegni. Interpellato in proposito, Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, ha invitato ad aspettare la decisione. La stessa amministrazione appare spaccata. Il capo stratega Steve Bannon e il capo dell'Epa (Environmental Protection Agency), Scott Pruitt, sono contrari all'accordo di Parigi mentre la figlia del presidente Ivanka Trump e il marito Jared Kushner spingono perché gli Usa non si ritirino, così come il segretario di Stato, Rex Tillerson, ex Ceo della Exxon. Trump, che durante la campagna elettorale aveva definito il riscaldamento globale un concetto inventato dai cinesi per rendere il manifatturiero Usa non competitivo, avrebbe confermato ai leader del G7 l'intenzione di uscirne.
Secondo il Financial Times, la leadership nella lotta ai cambiamenti climatici passerà ad Unione europea e Cina che avrebbero deciso di creare un'alleanza 'verde' per accelerare sugli impegni di Parigi anche senza gli Stati Uniti. L'annuncio sulla partnership per guidare la transizione verso un'economia a basse emissioni è atteso in occasione del vertice Ue-Cina in calendario oggi e domani a Bruxelles.
Ratificato da un presidente, Barack Obama, l'accordo Cop 21 di Parigi sul clima può essere denunciato allo stesso modo dall'attuale inquilino della Casa bianca, Donald Trump, senza passare per il congresso. Gli Usa avevano annunciato la ratifica dell'accordo sulla riduzione delle emissioni di gas responsabili dell'effetto serra il 3 settembre 2016, insieme alla Cina, alla vigilia del Gg20 ad Hangzhou. La ratifica Usa porta la firma di Obama, uno dei principali artefici dell'intesa, senza l'approvazione del senato (richiesta in genere per i trattati) perché la sua amministrazione lo ha ritenuto un "accordo esecutivo" per il quale basta l'autorità del presidente. Che ora, sfruttando un meccanismo analogo, può anche decidere di ritirare gli Usa dall'accordo.
Nel vertice di domani Ue e Cina annunceranno che continueranno a rispettare l'accordo di Parigi sul clima e nelle conclusioni, già "stabilizzate" sul tema, saranno annunciati "dettagli sulle misure concrete di attuazione" dell'accordo. Lo indicano fonti europee a due giorni dal vertice che formalmente comincerà domani sera con la cena del premier Li Keqiang con i presidenti Donald Tusk e Jean-Claude Juncker all'Europa building di Bruxelles. L'eventuale ritiro degli Usa "non è la fine del mondo", aggiungono le fonti.
Ci sono una serie di gruppi, di politici e di aziende che stanno facendo pressioni su Trump affinché scelga una delle due della strade possibili. Già lo scorso novembre, poco prima delle elezioni, una serie di gruppi ambientalisti avevano chiesto al presidente eletto di non stracciare il documento e di rispettare l'accordo. Poco dopo, il 16 novembre, diverse aziende americane - tra cui Nike, Starbucks, e Mars - hanno firmato una lettera aperta per chiedergli di non uscire, come invece aveva più volte annunciato durante la sua campagna elettorale. E ancora Rex Tillerson, ex a.d. di ExxonMobil e ora segretario di Stato, aveva detto che gli Stati Uniti non avrebbero lasciato l'intesa di Parigi, seguito dalla figlia di Trump, Ivanka, anch'essa a favore dell'accordo. Sul fronte del no si sono sin dall'inizio espressi il capo dell'Environmental Protection Agency, Scott Pruitt, il consigliere capo del presidente, Steven Bannon, e almeno 12 repubblicani alla Camera. Alla loro lettera è seguita quella di altri 22 senatori repubblicani che chiedono il ritiro. Con essi anche molti gruppi conservatori, che vedono nell'accordo di Parigi come una vittoria delle politiche di Obama che deve essere cancellata. Ma il fronte dei sostenitori dell'accordo continua a ingrandirsi: c'è il segretario all'Energia, Rick Perry, ex governatore repubblicano del Texas. C'è il papa, che ha discusso a lungo con Trump sul tema nella visita del presidente Usa in Vaticano. Ci sono poi decine di aziende tecnologiche e i colossi della Silicon Valley, Google e Apple in prima fila, ma anche aziende petrolifere come BP e Shell. In particolare Exxon ha voluto esprimere il suo parere a favore dell'accordo di Parigi. Dal punto di vista del Congresso, ci sono oltre 40 senatori democratici che hanno scritto al presidente, ma anche 3 senatori repubblicani e 13 deputati repubblicani alla Camera. In tutto questo ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha mandato un messaggio chiaro a Trump. "Il mondo è un disastro" e gli effetti dei cambiamenti climatici sono pericolosi e stanno aumentando giorno dopo giorno.