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L’Iran alle urne per scegliere il nuovo Presidente. È sfida a 2 tra Rohani e il conservatore Raisi

Urne aperte in Iran per eleggere il presidente. Circa 56,4 milioni di iraniani sono chiamati oggi ai seggi per scegliere tra il capo di Stato uscente, il moderato Hassan Rohani, e il religioso conservatore Ebrahim Raisi. Uno dei primi elettori a votare è stato la Guida suprema, Ali Khamenei, cha ha invitato i suoi concittadini a votare "in modo massiccio, il prima possibile". "Il destino di questo Paese è nelle mani degli iraniani che scelgono il capo dell'esecutivo", ha detto alla stampa prima di andare a votare nella capitale Teheran, dove si sono già formate lunghe file fuori ai seggi.

Due visioni del mondo a confronto Gli elettori iraniani decideranno oggi il destino del presidente moderato Hassan Rohani e la sua politica di impegno con l'Occidente, in un testa a testa con la linea dura del religioso populista Ebrahim Raisi fautore di "una economia di resistenza" contro gli stranieri. Il presidente uscente ha trascorso quattro anni tentando di tirare fuori il Paese da un isolamento internazionale, riuscendo a siglare nell'estate 2015 un accordo con le potenze mondiali che ha portato alla revoca di alcuni sanzioni in cambio della rinuncia di Teheran al suo controverso programma nucleare.

Tuttavia le minacce lanciate dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di rottamare la storica intesa nucleare insieme all'annunciata visita del presidente americano al rivale regionale dell'Iran, l'Arabia Saudita, in programma in questo fine settimana, rischia di mettere sempre più in pericolo la politica di distensione perseguita da Rohani. Da parte sua, lo sfidante di Rohani, pur dichiarandosi a favore dell'accordo nucleare, accusa il capo dello stato di avere dato troppa fiducia all'Occidente. "Non dobbiamo mostrare alcuna debolezza di fronte al nemico" ha detto il 56enne Raisi nel corso di un dibattito televisivo.

Le elezioni sono divenute essenzialmente una corsa a due dopo che l'altro candidato conservatore, il sindaco di Teheran Mohammad Bagher Ghalibaf, si è chiamato fuori lunedì invitando i suoi supporter di votare Raisi. Il campo si è ristretto ulteriormente il giorno seguente quando il vice presidente riformista Eshaq Jahangiri si è tirato fuori dalla corsa per favorire il presidente uscente. Il 68enne Rohani, anche lui religioso come il suo rivale, ha cercato di inquadrare le elezioni come una scelta tra maggiori libertà civili e "l'estremismo" ed i sondaggi non ufficiali lo danno ancora per favorito. Tuttavia, il presidente uscente sta affrontando una campagna molto più dura di quanto si pensava solo due mesi fa con il fronte ultraconservatore che lo accusa di aver fatto poco per combattere la povertà e la disoccupazione.

Al momento della sua candidatura all'inizio di quest'anno, Raisi, era relativamente sconosciuto. Dopo aver lavorato, per lo più, dietro le quinte come procuratore ha acquisito maggiore visibilità dopo aver preso il comando di recente della potente fondazione di beneficenza religiosa Imam Reda, ottavo santo dei dodici dell'Islam sciita il cui mausoleo sorge nella città santa di Meshaad nel nord-est del Paese. Stretto alleato e allievo del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, Raisi, è visto come la scelta preferita del potente establishment della sicurezza, favorevole ad una più autosufficiente "economia di resistenza" piuttosto che affidarsi agli stranieri. Raisi punta di raccogliere i voti della classe operaia con la promessa di un maggiore sostegno finanziario, e conta molto anche sul suo status di "Seyed" ("Signore"), appellativo riconosciuto ai diretti discendenti del profeta Maometto.

Da parte sua, Rohani dice di aver bisogno di più tempo per ricostruire una economia spezzata da anni di sanzioni e cattiva gestione. "Al giro di boa noi non torniamo indietro", dice ai suoi elettori promettendo di agire per la revoca delle rimanenti sanzioni che stanno ostacolando gli sforzi dell'Iran per firmare accordi commerciali con i paesi europei e asiatici. Un compito arduo, visto che Trump ha annunciato di voler "revisionare" l'intesa nucleare.