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Federico Buffa a Cagliari al Teatro Massimo con “Olimpiadi del 1936: una delle storie più luminose e al contempo oscure del nostro passato

Cagliari, 3 Mar 2017 - "Evocativo", "emozionante", "didattico", "incalzante" sono gli aggettivi che definiscono Federico Buffa e il suo spettacolo, le "Olimpiadi del 1936", in scena al Teatro Massimo di Cagliari fino a domenica 5 marzo.

Evocativo: il sipario si apre con Wolfang Fürstner- capitano della Wehrmacht ed interpretato dallo stesso Buffa- che richiama alla mente una delle più grandi manifestazioni sportive che sia mai stata organizzata, i Giochi Olimpici di Berlino del 1936, di cui egli fu uno degli organizzatori principali. Dalla sua narrazione emerge quale fosse la volontà del Terzo Reich, dimostrare al mondo la propria potenza e superiorità dando vita ad una macchina organizzativa senza precedenti, in grado di far impallidire le precedenti olimpiadi americane di Los Angeles. Tuttavia dal suo racconto e soprattutto dalla sua triste fine (si suicida dopo che viene praticamente escluso dall'esercito a seguito della scoperta delle sue origini ebraiche, nonostante la sua dedizione al regime) viene in rilievo come quell'evento si fosse svolto in una delle pagine più oscure della nostra storia, quelle delle dittature e delle leggi di Norimberga, promulgate nel 1935. Ecco, dunque, che si viene riportati in quegli anni cupi in cui dietro ad una maestosa vicenda sportiva si celava un clima di terrore ed una concezione dell'uomo privo di diritti e dignità.

Emozionante: non possono non entusiasmare e coinvolgere i racconti su James Cleveland Owens (noto come "Jesse") e su Sohn Kee-chung. Il primo uno dei più grandi atleti del mondo, se non il più grande, in grado di scrivere la storia dello sport battendo consecutivamente tre record mondiali in quarantacinque minuti, il secondo vincitore della maratona- la più importante gara delle Olimpiadi dell'epoca. Ciò che colpisce dei due non è tanto il risultato sportivo, no, non è questo che Buffa vuole far emergere, bensì il coraggio di queste persone in grado di combattere per ciò in cui credevano e ribellarsi allo status a cui era ridotti nei rispettivi Paesi. Jesse era un "nero" nell'America degli anni '30, ossia un Paese in cui agli afroamericani non era permesso salire sui bus o entrare negli stessi locali dei "bianchi". Sohn Kee-chung invece è costretto a correre per i colori nipponici pur essendo un coreano, dopo aver visto il proprio Paese silenziato dall'impero giapponese che aveva cancellato usanze, costumi, lingua, nonché i nomi stessi (convertendoli in giapponesi) dei coreani. Ecco che entrambi grazie a quei giochi riuscirono a far sentire la propria voce, con un grido prorompente che risuona ancora oggi e che ha scritto alcune delle pagine più belle dello sport, quello vero, quello che va oltre il business e gli interessi personali in cui si corre non solo per sé stessi ma per un ideale e che emoziona, ancora oggi in una società apparentemente lontana ma in realtà ancora vicina a quella di quegli anni.

Didattico: tutti conoscono il periodo della seconda guerra mondiale, ma questo spettacolo ha il merito di entrare ancora di più nello specifico, sfruttando una vicenda all'apparenza marginale- una manifestazione sportiva- ma che spiega bene cosa volesse dire vivere sotto il regime non solo politico, ma anche sociale e culturale (basta pensare agli U.S.A. apparentemente democratici salvo discriminare gli afroamericani al pari degli ebrei in Europa). Ecco dunque che Buffa utilizza ciò che meglio sa fare, ossia parlare di storie di sport, per consentire al pubblico di conoscere un contesto più ampio, lasciando in chi ascolta ed osserva un senso di curiosità e profondo interesse per quanto viene descritto, con minuzia di dettagli. Emblema di ciò è l'aneddoto sulla scampata distruzione di Parigi nel 1944, quando Hitler ordinò al generale e governatore di Parigi, Dietrich von Choltitz, di piazzare bombe sotto 70 ponti in modo da impedire ai cittadini di lasciare la città e generare una massa di acqua e fango che l'avrebbe sommersa, uccidendo milioni di persone. Quello fu il primo ordine che il generale disattese nel corso della sua carriera militare, ma oramai vivere in quella città gli aveva fatto comprendere quanto Parigi fosse una pezzo importante del mondo ed eliminarla avrebbe voluto dire privare l'umanità di una parte di sé. Ecco dunque che lo spettacolo offre spunti di riflessione e approfondimento, consente così di conoscere vicende ai più ignote, ma che è doveroso sapere per non dimenticare.

Incalzante: è questo il ritmo a cui Buffa ci ha abituati con il suo stile narrativo e a cui non rinuncia in questo spettacolo, portandolo anzi ad un livello ancora più elevato. Parole, racconti, vicende, storie si mescolano e susseguono, lasciando poco tempo per riprendere fiato sia all'interprete sia al pubblico desideroso di proseguire nella narrazione ed apprendere quanto più possibile di quella vicenda. Unici momenti in cui Buffa lascia la scena, sono quelli in cui vengono proiettate le immagini dei giochi, realizzate nel docu-film di Leni Riefensthal- incaricata dal regime di realizzare il più grande documentario della storia- questo però non è un momento banale bensì ancora più decisivo per far addentrare il pubblico nella narrazione ed imprimere nella sua mente quanto è stato appena raccontato. Suggestivo è anche l'accompagnamento musicale del maestro Alessandro Niddi (al pianoforte) con Nadio Marenco alla fisarmonica e la sublime cantante Cecilia Gragnai che ogni qualvolta compare in scena appare come un ricordo degli anni '30 che si materializza davanti agli spettatori, tramutando in realtà quanto Buffa genera nella mente degli spettatori.

Questi sono tutti gli elementi che rendono grande questa rappresentazione, una vera sintesi di sport, storia, cultura in grado di emozionare dal primo all'ultimo minuto chi la guarda, fino ad uscire dal Teatro con fatica come se si fosse appena svegliato da un sogno, chiamato "Le Olimpiadi di Berlino del 1936".

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