Cagliari, 1 Feb 2016 - La temperatura del pianeta sale troppo, le città sono soffocate dallo smog, la salute dei cittadini è a rischio, aumentano i decessi dovuti all’inquinamento. Che fare? Dopo Cop21, che ha faticosamente fissato nuovi parametri per contenere il surriscaldamento globale, e l’ondata di divieti alla circolazione di questi ultimi giorni, l’argomento è più che mai al centro dell’attenzione. I carburanti tradizionali (benzina e gasolio) legati alla nostra mobilità quotidiana (auto e bus) sono una volta di più “sotto processo” per i danni all’ambiente e alla salute collettiva. E’ stato calcolato che in Europa il 90% della popolazione delle aree urbane è esposta a livelli di contaminazione dell’aria superiori ai limiti consentiti. Ma non solo: è sempre troppo alta anche l’incidenza sull’economia, visto che nel Vecchio Continente si spende un miliardo al giorno per acquistare petrolio. In Italia la dipendenza dai combustibili importati è del 76,9%, la più alta d’Europa (dato 2013).
Risulta dunque straordinariamente interessante tutto ciò che può aprire la strada a soluzioni alternative. Sappiamo dei progressi dovuti alle normative sulle emissioni (Euro 1, 2, 3, 4, 5, 6), dei vantaggi ottenuti con Gpl e metano, dei salti in avanti fatti grazie alla tecnologia ibrida, con le varianti plug-in (ricarica alla presa di corrente) e con l’elettrico tout court. Ma poco ancora sappiamo dell’idrogeno, ovvero della possibilità di muoverci con un veicolo che scarica nell’aria vapore acqueo. Inquinamento zero, comfort e silenziosità al top. Per ora la controindicazione sta nei costi elevati, ma in proiezione non potranno che scendere: gli esperti assicurano che se nel 2020 la differenza di costo medio sarà ancora del 50% circa tra un’auto diesel e una a idrogeno, si può prevedere che nel 2030 il divario sarà quasi del tutto annullato. E già ora vengono smantellati i luoghi comuni sul rischio esplosione. “Una bombola a idrogeno – assicurano gli esperti – resiste anche a un colpo di fucile”. Semmai va regolamentata la pressione di stoccaggio, che può variare tra 350 e 700 bar.
Di tutto ciò s’è parlato a Napoli, nella sesta edizione della EFC15 (European Fuel Cell Technology & Applications Conference). Promossa da ENEA e dalle Università di Perugia e di Napoli Parthenope, e organizzata da Atena (Alta Tecnologia Energia Ambiente), la conferenza ha coinvolto ricercatori, docenti, rappresentanti dell’industria e delle istituzioni. I lavori sono stati simbolicamente etichettati come Stati Generali dell’idrogeno: un modo per illustrare lo stato della ricerca e delle applicazioni (molto più avanti di quanto si possa immaginare) ma soprattutto per rammentare alla comunità le scadenze che rendono indifferibili le decisioni che dovrà prendere l’Italia.
La conferenza di Napoli ci ha detto che ci sono tutte le potenzialità per un futuro con auto, bus e persino biciclette a idrogeno, e dunque per un futuro green & clean, verde, pulito e sicuro; ma anche che l’Italia si deve dare da fare per definire al più presto un piano energetico che avanzi in sintonia con gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Ue entro il 2050. La scadenza intermedia più imminente è il 18 novembre 2016, quando il governo dovrà presentare a Bruxelles il piano nazionale di sviluppo delle infrastrutture di rifornimento a idrogeno, proiettato al 2025, in conformità con la direttiva europea sullo sviluppo dei combustibili alternativi (Dafi).
Lo stato dell’arte è stato illustrato da Claudia Marenco, manager officer per l’Europa, e da Angelo Moreno (Enea), presidente della Associazione Italiana dell’idrogeno e delle celle a combustibile. Nel corso dei lavori è stata presentata la prima bozza del piano che verrà consegnata a maggio al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. La direttiva europea sui carburanti alternativi – è stato spiegato dagli esperti – considera facoltativo l’impiego dell’idrogeno, ma l’Italia dovrebbe considerare questa opportunità “come un treno da non perdere”, al pari di altre nazioni come Germania, Francia e Regno Unito, che stanno molto avanti, così come Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia, Polonia. Emergenza ambientale a parte, se l’Italia non inserisce l’idrogeno nel proprio piano di attuazione della DAFI – ammoniscono docenti e ricercatori - perderà il supporto dei finanziamenti europei; le imprese che investono nello sviluppo delle tecnologie dell’H2 e delle Fuel Cell potrebbero accusare un deficit di competitività; il nostro Paese rischierebbe di rinunciare all’opportunità di creare nuovi posti di lavoro e di far crescere Pil ed esportazioni.
Invitato ai lavori di Napoli, il ministro Galletti ha inviato in rappresentanza il direttore generale del ministero, Maurizio Pernice. Il quale – come consuetudine in questi casi – ha preso atto, ha detto di condividere urgenze e necessità, e ha assicurato: “La questione è tra le priorità del governo”.
Ricerca e industria ci contano. E, ove mai dovessero sorgere dubbi e perplessità, rammentano: “Per produrre diecimila tonnellate di idrogeno entro il 2025 servono 180 milioni di investimenti. Milioni, non miliardi”.