Washington (Usa), 12 Gen 2016 - El Chapo è di nuovo nella prigione dell’Altiplano, la stessa da dove era fuggito l’11 luglio. Gli hanno assegnato la matricola 3578, ma sopratutto hanno rafforzate le misure per impedire che scappi ancora. Cominciamo dall’esterno. Oltre al check point con un paio di blindati armati di mitragliatrici, sono stati creati posti di controllo volanti e pattugliamenti a largo raggio. Chiunque entri nella zona deve essere controllato. Almeno questa è la promessa. Sarebbero stati anche riattivati i sensori infilati nel terreno attorno al carcere: in luglio non erano funzionanti - è stato spiegato - perché c’erano dei grandi lavori per la posa di tubi, un aspetto che aveva favorito la realizzazione del tunnel che portava fino alla cella. Il fatto è che l’attività di scavo continua e non è chiaro come non infici la «sensibilità» dei sensori.
All’interno i metal detector sono stati tarati di nuovo e il braccio speciale dove è rinchiuso Guzman è stato modificato. Sono state aggiunte piastre d’acciaio a fare una sorta di guscio, quindi aggiunto un «pavimento» di sbarre. Due guardie siederanno davanti al cubicolo 24 ore su 24, sorveglianza che si aggiunge a quella via telecamera. Le ispezioni saranno più frequenti e ci sarà un filtro maggiore sulle visite per il prigioniero. Durante l’altra detenzione El Chapo ha ricevuto oltre 400 persone, in gran parte suoi avvocati ma anche figure a lui vicine. Difficile non pensare che lo abbiano aiutato per mettere a punto la grande fuga. Le informazioni diffuse dalle autorità in queste ore sono una risposta a quanti giurano che il boss scapperà di nuovo e contestano la scelta dell’Altiplano. Sempre su questa linea l’annuncio che la procedura di estradizione verso gli USA è iniziata, anche se richiederà tempi lunghi e dovrà resistere alle obiezioni presentate dai legali. Si parla da un minimo di sei mesi fino ad un anno o forse ancora di più. Sarà certamente una battaglia. Fermento anche nel clan di Sinaloa. Indiscrezioni sostengono che alcuni esponenti dell’organizzazione sarebbe furiosi con i figli del padrino. I narcos li accusano di aver contribuito alla realizzazione del progetto del film e all’intervista apparsa su Rolling Stone. Una violazione dei codici di sicurezza che alla fine è stata probabilmente decisiva nella cattura del capo clan.
Altre tensioni sono sorte per la decisione de El Chapo di affidarsi a personaggi di fiducia, ma troppo noti agli inquirenti che li avrebbero «filati» con determinazione. Aldilà delle speculazioni non c’è dubbio che la tattica ha funzionato. E chissà che qualcuno nella gang non nutra dubbi sul ruolo di Penn. Durante le premiazioni del Golden Globe hanno fatto battute sull’artista - definito un informatore - ma c’è poco da scherzare.L’intervista sulla rivista continua poi ad essere tema di rivelazioni e interrogativi. Il quotidiano El Universal ha scritto che l’intelligence messicana ha tracciato Kate del Castillo in tutti i suoi contatti con gli avvocati del padrino seguendone tutte le mosse: sul sito del giornale è apparsa una foto dell’attrice con la star americana e un emissario del narco. È stata scattata poco prima che i due raggiungessero il nascondiglio del latitante. Secondo il quotidiano queste le tappe di Kate e Sean Penn: 1) il 2 ottobre volano da Los Angeles a Guadalajara con un jet privato. 2) Prendono delle stanze in un hotel dove è in attesa un avvocato del criminale. 3) Si spostano in auto a Tepic, Nayarit, e da qui si imbarcano su un velivolo bimotore che li trasferisce nella regione di Durango, quindi, a bordo di un paio di jeep, arrivano fino al rifugio. Nonostante le smentite è evidente come la storia del film abbia rappresentato un aspetto importante nelle operazioni poi conclusesi con la cattura del capo di Sinaloa.