Lo strappo interno è sempre più forte. Oggi Pierluigi Bersani, insieme alla minoranza dem, diserterà la riunione nella sede del PD convocata da Matteo Renzi per discutere di fisco, scuola, Rai e ambiente. "Non ci penso proprio a fare il figurante", ha detto in un'intervista in edicola su Avvenire l'ex segretario Bersani. A stretto giro la replica secca del premier: "Non sprechiamo neanche un minuto in polemiche ingiustificate".
Da un lato Persani sceglie parole durissime per bocciare le due norme: "Il combinato disposto tra ddl Boschi e Italicum rompe l'equilibrio democratico, se la riforma della Costituzione va avanti così non accetterò mai di votare la legge elettorale". Dall'altro utilizza la metafora cinematografica per criticare il modus operandi del governo: "Io mi inchino alle esigenze della comunicazione - spiega nell'intervista rilasciata ad Avvenire - ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto". L'accusa di Bersani è quella di aver abbandonato il cosiddetto metodo Mattarella.
Convinto, a sentire i suoi, di poter gestire il dissenso dell'ala dura, Renzi contrattacca rimarcando la differenza tra il vecchio PD e il suo: "Non sprechiamo neanche un minuto in polemiche ingiustificate", dice, poi spiega la sua visione dell'operato del partito. Il nostro è un Partito democratico, nel nome ma anche nelle scelte e nel metodo - ha detto - tutte le principali decisioni di questi 15 mesi sono state discusse e votate negli organismi di partito e il nostro popolo, quello che ci vota alle primarie e che, dopo tante sconfitte, ci ha dato il 41% per cambiare l'Europa e l'Italia, non si merita polemiche ingiustificate persino sugli orari e sulle modalità di convocazione di questi incontri informali".
La frase è riportata da Repubblica: l'offensiva di Pierluigi Bersani viene vista come il metodo - l'unico, lascerebbe intendere il premier - per tenere unita la minoranza. E che vuole fare, trasformarsi nel Bertinotti del 2015?, sbotta un Matteo Renzi seccato per la scelta dei disertori. Il riferimento è alla sfiducia votata nel 1998 da Rifondazione Comunista nei confronti di Romano Prodi, decretando la fine dell'Ulivo. Paragone che spiega come Renzi veda l'attacco dell'ex segretario e della minoranza dem non come contro le due leggi ma contro il suo governo.
Non ci sarà Pierluigi Bersani e non ci saranno nemmeno Gianni Cuperlo, in trasferta a Cagliari, Rosy Bindi, impegnata a Bologna, e ci saranno sedie vuote anche al posto di Pippo Civati, Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre e Davide Zoggia. E altri venti "anti Italicum" fanno sapere di essere perplessi circa il vertice. Non mancherà invece Francesco Boccia, con l'obiettivo di attaccare il premier.





