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Jobs Act, Renzi verso la fiducia. Sfida a minoranza Pd e sindacati

Matteo Renzi stringe sul Jobs Act e si prepara a chiedere la fiducia. Il Consiglio dei ministri autorizza l'uso dello strumento per accelerare e "blindare", magari con un maxiemendamento, la riforma al Senato. La minoranza Pd confida fino all'ultimo in un ripensamento, nella speranza di avere spazio per discutere in Aula i propri emendamenti. Ma se il deputato Stefano Fassina avverte che la fiducia avrebbe delle "conseguenze politiche", più prudente appare la maggioranza dei dem: non potrebbero votare no al governo, con il rischio di farlo cadere. La partita a ogni modo è ancora aperta, anche perché Ncd non sembra disposta ad accettare modifiche al testo attuale della delega. Di buon mattino, per la prima volta da quando Renzi è a palazzo Chigi, nella sala Verde faranno ingresso i sindacati e le associazioni imprenditoriali.

"E' un'ipotesi". Così il premier Matteo Renzi risponde a chi gli domanda se si possa rendere facoltativo l'anticipo del Tfr. Sul tema, spiega, "gli italiani son divisi perché alcuni dicono 'meglio mettere quei soldi da parte perché se li ho li spendo'. Ma il Tfr così ce l'abbiamo solo noi" nell'ambito di uno "Stato-mamma". "Io voglio chiedere ai sindacati se sono davvero convinti che il problema è di un altro o se sono d'accordo che anche loro devono dare una mano. Vorrei che i sindacati dessero una mano", insiste il premier.

Il governo intende "dare una mano alle forze dell'ordine, vera, anche economica. Domani li vediamo, siamo disponibili a sbloccare gli scatti, ma" bisogna anche "rendersi conto che sacrifici ora bisogna farli tutti: abbiamo cinque corpi di polizia, non ce li ha nessuno al mondo". Renzi a Quinta Colonna torna sulla questione più "calda": "L'articolo 18 è un totem ideologico, riguarda solo 2.500 persone" ma "rischia anche di essere fonte di incertezza" perché il reintegro dipende dalla decisione del giudice "e le aziende non sanno dove battere la testa, anche le aziende straniere".

Per quanto riguarda il Jobs Act, l’ipotesi più forte sul tavolo, al termine di una nuova giornata di incontri e contatti tra il ministero del Lavoro, Palazzo Chigi e il Senato, è quella di presentare un maxi-emendamento alla delega sul Lavoro che recepisca alcune delle modifiche contenute nel documento approvato una settimana fa dalla direzione Pd. Il testo non dovrebbe contenere però una indicazione dettagliata sull’articolo 18 e la questione del reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari.

’ipotesi è che sul punto specifico si pronunci il ministro Giuliano Poletti con una dichiarazione in Aula, rinviando poi ai decreti delegati per una disciplina puntuale. Il combinato disposto dell’emendamento e della dichiarazione consentirebbe, viene spiegato, di tenere insieme la maggioranza, in balia da una settimana di un braccio di ferro tra i centristi guidati da Ncd, che puntano a un deciso superamento dell’art. 18, e la minoranza del Pd, che ha espresso contrarietà in direzione.

"Non c'è in discussione il Pd ma l'Italia: dobbiamo rimetterla in moto. E allora stiamo ad ascoltare i suggerimenti di tutti ma non mi va che ci sia qualcuno che pretende di bloccare perché da vent'anni siam nella palude e ora tocca a me guidare. Bisogna che la macchina vada". Così Renzi parla della minoranza Pd. "La battaglia la dobbiamo vincere noi, bisogna che siamo un po' più flessibili. Bisogna essere capaci di vincere questa battaglia, non è solo per l'Italia, è una battaglia giusta". Renzi ricorda che nel 2003 la Germania chiese una deroga ai vincoli di bilancio per le riforme. "Attenti ai conti ma intanto stiamo facendo le riforme". E allora "mamma mia, se ci mettiamo un anno in più ad arrivare a questo benedetto pareggio di bilancio, va bene comunque". E' il messaggio che il premier lancia all'Ue. "Non da quest'anno perché quest'anno c'è la Tasi che è una scelta del passato, ma dal 2015 ci sarà un'unica tassa, secca, chiara" nei Comuni per case, strade, asili, giardini e servizi. "Il Comune deciderà quale" aliquota "mettere e sarà responsabile davanti ai cittadini".

E' la settimana del lavoro, per il governo Renzi. Il premier la apre riunendo a palazzo Chigi i vertici delle aziende farmaceutiche, dando così concretezza alla sua strategia: non solo aggiornare le leggi esistenti, a partire dall'articolo 18, ma puntare anche su investimenti che portino alla creazione di posti di lavoro. Due piani paralleli, su cui incidere con determinazione. E' questa la ragione per cui entro la settimana il premier intende incassare il via libera del Senato al Jobs Act. Con un voto, se possibile, già mercoledì sera, quando a Milano, in qualità di presidente di turno dell'Ue, ospiterà i leader europei per una conferenza proprio sul lavoro. L'ipotesi più forte sul tavolo, al termine di una nuova giornata di incontri e contatti tra il ministero del Lavoro, palazzo Chigi e il Senato, è quella di presentare un maxiemendamento alla delega sul Lavoro che recepisca alcune delle modifiche contenute nel documento approvato una settimana fa dalla direzione Pd.

Il testo non dovrebbe contenere però una indicazione dettagliata sull'articolo 18 e la questione del reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari. L'ipotesi è che sul punto specifico si pronunci il ministro Giuliano Poletti con una dichiarazione in Aula, rinviando poi ai decreti delegati per una disciplina puntuale. Il combinato disposto dell'emendamento e della dichiarazione consentirebbe, viene spiegato, di tenere insieme la maggioranza, in balia da una settimana di un braccio di ferro tra i centristi guidati da Ncd, che puntano a un deciso superamento dell'articolo 18, e la minoranza del Pd, che ha espresso contrarietà in direzione. Una decisione definitiva potrebbe essere assunta a breve, anche alla luce del confronto che Renzi condurrà a palazzo Chigi alle 8 con i sindacati, alle 9 con le associazioni imprenditoriali. Un confronto di certo non facile, visti i toni battaglieri che alla vigilia fa sentire la Cgil.

Il segretario Susanna Camusso, non solo ribadisce, infatti, il paragone a suo tempo espresso fra Matteo Renzi e Margareth Thatcher, ma avverte anche che la Cgil è pronta sempre al conflitto per contrastare scelte non condivise. E lamenta, infine, i tempi brevi concessi da Renzi ai sindacati: "Un'ora sola ti vorrei...", scherza. Ma l'attenzione del governo è al percorso in Senato, dove la fiducia sulla riforma appare sempre più probabile, dopo che un Cdm convocato in serata ha autorizzato il ministro Maria Elena Boschi a porla. La circostanza è ancora eventuale. Ma già un battagliero Stefano Fassina richiama l'attenzione del Presidente della Repubblica sulle "conseguenze politiche molto gravi dell'azione del governo, che costringe il Parlamento a dargli una delega sostanzialmente in bianco". Molto critiche anche le altre voci della minoranza Pd.

Da Cesare Damiano, a Francesco Boccia, a Pippo Civati, che parla di un "esautoramento delle Camere e un segno di debolezza" di Renzi rispetto a Ncd, che con Angelino Alfano continua a chiedere una riforma "seria, non brodosa" e, se si dice favorevole alla fiducia, insiste però sulla necessità di mantenere il testo della delega. Un'assemblea dei senatori Pd, non ancora convocata, sarà chiamata ad assumere una posizione in vista dell'Aula. A quel punto la minoranza dem potrebbe far emergere il suo dissenso, ma pochi senatori, fra cui i civatiani, sarebbero alla resa dei conti disposti a uscire dall'Aula e non votare la fiducia. "Per senso di responsabilità, per non far cadere l'esecutivo", gli altri finirebbero per allinearsi, dicendo sì al governo. L'ipotesi, spiega un senatore, è mettere nero su bianco il dissenso in un documento politico e rinviare la battaglia al passaggio della Camera.