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La tragedia di Lecco – L’impossibilità di vivere senza l’altro

La notizia dell’assassinio, da parte della madre,  di tre bambine di 13, 10 e 3 anni, avvenuto a Lecco, ha sconvolto l’opinione pubblica italiana. La donna albanese, dopo esser stata abbandonata dal marito per una donna più giovane non avrebbe retto all’abbandono e avrebbe compiuto questo gesto assurdo.

Una reazione di questo genere, purtroppo, non è nuova o legata solo al momento di grave crisi economica e degli affetti che la nostra società sta attraversando. Se torniamo indietro di secoli nella storia, infatti,  troviamo il mito di Medea, narrato nella tragedia di Euripide, in cui la protagonista dopo esser stata abbandonata dal marito Giasone per un’altra donna, decide di punirlo uccidendo i figli avuti con lui. Nella prima fase della separazione, soprattutto, quando questa viene scelta da uno dei due che opta per l’abbandono dell’altro, le emozioni che si provano sono dolore, pietrificazione, disorientamento. Davanti a questa moltitudine di sentimenti, le persone attivano una serie di meccanismi di difesa: aggressività, rabbia, ostilità verso chi ha abbandonato, svalutazione dell’altro; inibizione depressiva che porta a non preoccuparsi di niente. La sensazione è quella di avere sempre in testa l’altro. I momenti più difficili possono  essere il risveglio e la notte, soprattutto, quando finisce la giornata e si viene assaliti da un fortissimo senso di solitudine, che può essere somatizzato in vari modi (emicranie, abbuffate notturne, insonnie).

In questo caso estremo, invece, parrebbe che la madre abbia deciso di volgere la propria aggressività verso le figlie piuttosto che solo verso se stessa ma, comunque, come si diceva prima, proprio di notte.

Durante la separazione non si pensa, in genere, all’altro come una persona reale, non si pensa a lui, ma a come lui ci ha trattato male, come noi siamo diventati vittime di un’ingiustizia da parte dell’altro. Il sentimento prevalente è la rabbia che comprende: rancore, indignazione, sete di giustizia. Il rancore ha a che fare con un senso di offesa e alimenta il desiderio di vendetta per essere stati lasciati. L’indignazione, emerge quando si ripensa a tutto quello che è accaduto, e si inorridisce per la cattiveria dell’abbandonatore, per la sua “bassezza”, per il fatto di averci colpito alle spalle. La sete di giustizia, infine, ci porta a “sederci sulla riva del fiume ed aspettare che passi il cadavere dell’ex”. In questa fase può scoppiare una vera e propria “campagna di vendetta”. Ed è proprio in questo contesto che può trovare terreno fertile l’idea di porre fine alla famiglia che ci si era creato con l’altro. Quando non si riesce ad accettare la separazione, la coppia si dice sia invischiata in un  legame disperante (Cigoli), segnato da discordia coniugale e dalla speranza senza fine di una riconciliazione. Tutto questo è imputabile al fatto che con il divorzio, la coppia deve affrontare due compiti legati al processo di elaborazione del lutto necessari a superare la perdita del legame e cioè: chiusura del legame, a cui i coniugi avevano affidato, insieme alla soddisfazione di bisogni e desideri, anche la fiducia nel legame e riapertura di aspetti dolorosi del legame relativi alla crescita delle persone degli ex coniugi nella rispettiva famiglia d’origine. E’ frequente che gli ex coniugi di fronte a questo duplice compito, precipitino in situazioni relazionali dolorosamente ingestibili e si ritrovino a fare i conti con un mondo interno o persecutorio o depressivo e con le emozioni ad esso collegato. Ciò accade, quando la coppia che si separa, non riesce ad assolvere ai compiti che le spettano a livello coniugale, e cioè : attuare il divorzio psichico, elaborando il fallimento coniugale; impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto coniugale e ridefinire i confini coniugali e familiari. Pertanto, il tipo di legame, il conflitto e la cooperazione tra ex coniugi emergono come variabili cruciali per la comprensione del funzionamento coniugale nella separazione. La separazione, quindi, non è un lavoro individuale, quanto “un’impresa di coppia”. Le persone così come si sono legate, hanno il compito di separarsi.

Un buon risultato del lavoro di separazione si può ottenere, perciò, solo se le persone senza dover negare il riemergere di sentimenti di rabbia e delusione, riescono a lasciare spazi cooperativi e a riconoscere il mutamento dei confini. E’ necessario chiedere aiuto a uno psicologo in questa prima fase di separazione, specialmente se si provano i sentimenti sopra descritti. Anche se non si hanno disponibilità economiche (così come pareva il caso della mamma di Lecco) è possibile rivolgersi ai Servizi sociali dei comuni di residenza o alle tante strutture Asl (es. i consultori) presenti sul territorio e che offrono supporto gratuito.