Sindacati, imprese, partiti: la Legge di Stabilità approvata ieri dal governo non convince nessuno. Nel mirino di Cgil, Cisl e Uil che minacciano lo sciopero le misure sul pubblico impiego mentre Confindustria e forze politiche attaccano il pacchetto lavoro, accusato di essere troppo debole. L'unica accoglienza positiva alla manovra targata Letta sembra averla riservata lo spread, che oggi - complice anche l'intesa Usa sul debito - chiude a 231 punti base registrando nel corso della seduta, grazie a un differenziale a quota 230, il miglior risultato dal 2011.
E' "una manovra che inciderà positivamente e ben accolta dai mercati", si può difendere dunque Fabrizio Saccomanni che bolla come "non oneste" alcune critiche pur non nascondendo si "potesse fare di più' e ribadendo quindi la disponibilità del governo a correzioni in Parlamento. Se è vero che i sindacati puntano i riflettori soprattutto sul blocco dei contratti nella pubblica amministrazione e il congelamento del turn over a non convincere parti sociali e Palazzi della politica sono soprattutto i mini sconti fiscali sul lavoro.
Tra gli otto e 14 euro in più al mese in busta paga contro un minimo di 182 euro fino a un massimo di 900 di nuovi tributi: sono questi i dati, frutto di diverse simulazioni tra cui quelle dell'osservatorio nazionale della Fedeconsumatori e della Cgia Mestre, che alimentano i dubbi maggiori. "La legge di Stabilità - dice la leader Cgil Susanna Camusso - è la smentita di infinite promesse: non determina discontinuità e le cifre per il lavoro e le imprese non bastano". Concetto ripreso da Cisl e Uil: "I lavoratori ed i pensionati - protesta Raffaele Bonanni - vogliono di più". La Uil è "certamente pronta" a proteste "molto forti", chiosa Luigi Angeletti, ed anche allo sciopero.
Risposta che non convince il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, convinto che in queste occasioni "bisognerebbe rimboccarsi le maniche, spingere nella direzione giusta il Paese", perché "Con gli scioperi non risolviamo nessun problema". Ma le critiche al governo non arrivano solo da fuori: mentre partiti si attrezzano in vista dell'esame parlamentare, anche nella squadra di governo vi sarebbe, secondo quanto si apprende, qualche malumore. Il più critico sarebbe il viceministro all'Economia Stefano Fassina, che avrebbe lamentato un mancato coinvolgimento nella messa a punto delle misure.
Un malumore che, secondo qualcuno, avrebbe fatto valutare anche l'ipotesi della mossa delle dimissioni. Prima di decidere il democrat sarebbe però in attesa di un confronto diretto con il premier Enrico Letta, impegnato in un viaggio a Washington per incontrare Barack Obama. Tra le forze politiche, il più diplomatico resta il Partito democratico, dove comunque si registrano i dubbi dei renziani sul fronte della Service tax: il segretario Guglielmo Epifani ammette di "comprendere le osservazioni di sindacati e Paese" ma invita ad apprezzare "una manovra" nata in un quadro politico complesso e che comunque ha ampi margini di miglioramento in Parlamento.
Parole che non sono condivise dall'ex premier Mario Monti, che mette nero su bianco il proprio dissenso riservando a Scelta civica la libertà di aver le mani libere durante l'esame del provvedimento. Esame in Parlamento che si preannuncia possibile teatro di nuove battaglie interne non solo alla maggioranza ma anche al Pdl e quindi foriero di guai per la stabilità del governo: mentre infatti il vicepremier Angelino Alfano promuove il pacchetto di misure rivendicando il ruolo di 'sentinella antitasse', prima Sandro Bondi e poi una raffica di deputati e senatori puntano il dito contro la manovra Letta infarcita di "tasse camuffate".