Dopo il G20 lo si può dire ufficialmente: sulla Siria Barack Obama è ormai isolato. Isolato sullo scenario internazionale dove anche Francois Hollande ha fatto riferimento alla necessità, prima di colpire Damasco, di attendere il rapporto degli ispettori Onu sull'eventuale uso delle armi chimiche da parte delle truppe governative siriane.
Isolato sul piano interno dove tutti i sondaggi rivelano un largo dissenso del popolo americano rispetto a un'azione dispendiosa e dalle incerte conseguenze. Isolato sul piano politico nazionale, dopo che il Washington Post ha pubblicato stanotte una seria e attenta previsione sul voto alla Camera dei rappresentanti: 223 deputati direbbero no, condannando la risoluzione a una clamorosa bocciatura (bastano 217 voti negativi per respingere la richiesta di Obama di punire Assad). Isolato dal sentire comune dopo che Papa Francesco ha lanciato l'iniziativa che oggi chiama tutti gli uomini e donne di buona volontà a pregare e vegliare per la pace.
Isolato nella dimensione mediatica: dopo il flop di San Pietroburgo, sui siti delle principali testate giornalistiche americane sono apparse in queste ore critiche pesanti all'ostinazione di Obama: "contava sull'appuntamento in Russia per incassare qualche appoggio, ma invece ha subito minacce esplicite da Putin", ha scritto il New York Times.
Già: invece di propiziare qualche spiraglio il G20 ha fomentato il Cremlino: mai Putin si era spinto fino a dire "difenderemo Damasco da un attacco ingiustificabile". E mai Obama si era trovato in una situazione tanto problematica. Al punto da dover ricorrere alla sua arma più efficace, la dialettica, la comunicatività: il presidente ha, infatti, annunciato che martedì notte parlerà alla nazione per spiegare il perché di tanta determinazione a colpire la Siria. Aspettiamo di ascoltarlo. Il mondo intero lo aspetta, per capire cosa sta succedendo.