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Pubblicate le motivazioni della condanna: i giudici d’Appello affermano che Dell’Utri mediava tra Berlusconi e Cosa Nostra

Condotta illecita del senatore Marcello Dell'Utri è "andata avanti nell'arco di un ventennio", con una serie di comportamenti "tutt'altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale".

E' quanto si legge nelle motivazioni della sentenza che lo scorso 25 marzo ha condannato a sette anni l'ex senatore Pdl, nonché braccio destro di Silvio Berlusconi, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Marcello Dell'Utri è stato condannato in primo grado a 9 anni di carcere e 7 in secondo grado. La Cassazione, poi, annullò con rinvio il verdetto: decisione che portò al secondo processo d'appello che si è concluso lo scorso marzo. I magistrati che emisero il verdetto avevano ottenuto dal presidente della Corte d'Appello Vincenzo Oliveri una proroga di altri tre mesi per la particolare complessità del processo. Ieri giudici i giudici della terza sezione della corte d'appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, hanno depositato le motivazioni.

"La personalità dell'imputato - scrivono - appare connotata da una naturale propensione a entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli avevano dato una possibilità di farlo".

I giudici di appello ritengono provato il concorso esterno di Marcello Dell'Utri a Cosa nostra fino al 1992, mentre secondo la Cassazione la condanna era stata sufficientemente provata solo fino al 1977: "In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l'anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell'associazione".
Marcello Dell'Utri, continuano i giudici, è stato il "mediatore contrattuale" di un patto tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi, e in questo contesto tra il 1974 e il 1992 "non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti", e "ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento".

La Corte d'appello colloca la stipula di questo patto tra il 16 e il 29 maggio del 1974 quando "è stato acclarato definitivamente che Dell'Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e Cinà a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell'Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l'assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi".