E' stato corretto l'operato dei giudici di Milano nel processo 'Mediaset' quando, il primo marzo del 2010, non hanno concesso il legittimo impedimento a comparire in udienza all'allora premier e imputato di frode fiscale Silvio Berlusconi. A deciderlo, nel conflitto di attribuzioni sollevato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in dissidio con i togati milanesi, è stata la Corte Costituzionale che ha ritenuto che l'assenza dall'udienza non sia stata supportata da alcuna giustificazione relativa alla convocazione di un Cdm fuori programma rispetto al calendario concordato in precedenza.
Viene dunque meno per la difesa di Berlusconi la possibilita' di far valere un verdetto favorevole della Consulta in vista dell' udienza 'Mediaset' che si terrà nei prossimi mesi in Cassazione. Qui, oggi, e' stato inoltrato il ricorso degli avvocati Nicolò Ghedini e Franco Coppi contro la condanna a quattro anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni che il 'Cav' teme molto.
La prima reazione di Berlusconi è stata quella di assicurare l'appoggio al governo Letta, anche se - ha detto - "tentano di eliminarmi dalla vita politica". "Questo tentativo che dura ormai da vent'anni, - ha aggiunto l'ex premier da Palazzo Grazioli - e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un'Italia più giusta e più libera".
Attorno al 'Cav' hanno fatto quadrato tutti i ministri e i parlamentari del Pdl. E' la stessa Consulta ad anticipare - in una nota - il nocciolo dell'iter motivazionale che sarà più ampiamente illustrato dal relatore Sabino Cassese nella stesura della sentenza. "Dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento - rilevano i giudici costituzionali - la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la 'non rinviabilita" dell'impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario".
Il verdetto è nel solco della sentenza 23 del 2011, scritta sempre da Cassese, che ridimensionando il 'lodo Alfano' aveva fissato il rispetto del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato come 'paletto' imprescindibile e la competenza del giudice ordinario a valutare il legittimo impedimento addotto. Gli avvocati Ghedini e Longo esprimono "grave preoccupazione" per la sentenza, mentre per Coppi si tratta di "una decisione molto discutibile che crea un precedente pericoloso perché stabilisce che il giudice può decidere quando un Consiglio dei ministri è, o meno, indifferibile.
Le mie idee sul legittimo impedimento non coincidono con quelle della Corte Costituzionale ma, purtroppo, questa decisione la dobbiamo tenere così come è perché è irrevocabile". Coppi ha spiegato anche che il ricorso 'Mediaset' - almeno 300 pagine di tesi difensive - è tutto mirato contro la condanna di Berlusconi e non si occupa dell'interdizione in quanto "è una conseguenza della condanna stessa, la segue automaticamente". Dunque, la conferma della condanna aprirebbe inevitabilmente la strada all'applicazione dell'esilio dal Parlamento. Nessun commento è pervenuto dai giudici di Milano che, anche in questa occasione, hanno atteso "con serenità e rispetto" il verdetto della Consulta.