Una importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sembra aver definitivamente chiarito che la fattispecie di reato applicabile nei confronti di chi utilizza l’utenza telefonica assegnata per ragioni d’ufficio per fini privati è quella prevista dall’art. 314, secondo comma, del codice penale, il cosiddetto peculato d’uso, e non le ipotesi più gravi dell’abuso d’ufficio, di truffa aggravata ai danni dello Stato o di peculato comune.
Recita infatti la suddetta disposizione normativa: “Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare un uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo è stata immediatamente restituita”.
Tuttavia, sia la giurisprudenza di merito che di legittimità avevano avuto nel tempo vari e variegati orientamenti interpretativi della condotta del dipendente pubblico, che sono stati ricostruiti dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19054 del 02.05.2013.
In particolare la giurisprudenza dominante ha ritenuto a lungo configurabile il reato di peculato comune, poiché la condotta del dipendente sarebbe consistita in una appropriazione dell’energia occorrente per la conversazione telefonica. Ed essendo questa oggetto di valutazione economica poteva ritenersi oggetto materiale del peculato poiché equiparabile alla cosa mobile di cui all’art. 314, primo comma.
Altro orientamento, peraltro minoritario, aveva invece ritenuto configurabile alla fattispecie in discorso il reato di abuso d’ufficio. Tuttavia la Cassazione fin dal 2008 ne aveva escluso l’applicabilità in quanto nella condotta contestata non si può configurare la violazione di una norma di legge o di regolamento, elemento essenziale per la sussistenza della fattispecie.
Un ulteriore orientamento minoritario della giurisprudenza di merito aveva ritenuto addirittura che, non potendosi equiparare l’uso all’appropriazione, l’utilizzo privato del telefono d’ufficio sia un fatto penalmente irrilevante.
Tuttavia, nella sentenza in esame i giudici della Suprema Corte hanno affermato come alla fattispecie si debba applicare la norma che sanziona il peculato d’uso e non il peculato comune: l’uso momentaneo della cosa seguito dalla sua immediata restituzione non integra una autentica appropriazione, la quale si realizzerebbe solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa. Non è pertanto condivisibile l’opinione finora predominante che riteneva configurabile il peculato comune (punito più severamente con la reclusione da quattro a dieci anni) per la “appropriazione” delle energie costituite dalle onde elettromagnetiche che permettono la trasmissione della voce.
In conclusione, quindi, la Corte sostiene che il caso concreto debba essere qualificato secondo la fattispecie meno grave del peculato d’uso, poiché la condotta del pubblico dipendente che distoglie il bene pubblico (l’apparecchio telefonico) di cui è in possesso per ragioni di servizio per utilizzarlo a fini personali e restituendolo subito dopo alla sua destinazione originaria non può che essere sussumibile al reato meno grave di cui al secondo comma dell’art. 314. CS.