Il costo dei diritti tv per Mediaset era "del tutto incomprensibile dal punto di vista societario", visto che con l'uso di intermediari "il costo dei diritti acquistati alla fonte subiva un cospicuo rialzo". E' quanto scrivono i giudici della Corte d'appello di Milano, nelle motivazioni della sentenza del processo di secondo grado su presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv da parte del gruppo Mediaset. In questo processo a Silvio Berlusconi è stata confermata la condanna di primo grado a quattro anni di reclusione per frode fiscale.
Il collegio presieduto da Alessandra Galli nelle motivazioni del verdetto d'appello evidenzia che "non aveva alcun senso acquistare ad un determinato prezzo quel che si era già individuato acquistabile ed effettivamente acquistato ad un prezzo molto minore". Il riferimento è alle numerose società schermo che - stando all'ipotesi accusatoria - sarebbero servite a Berlusconi per far lievitare il prezzo dei diritti televisivi e cinematografici acquistati da mediaset presso le principali majors statunitensi e, perciò, a creare fondi neri all'estero per frodare il fisco italiano.
Alla luce del fatto che Silvio Berlusconi ha continuato per anni a gestire il gruppo Mediaset anche una volta impegnato in politica e "in relazione alla oggettiva gravità del reato (frode fiscale, ndr) è ben chiara l'impossibilità di concedere le attenuanti generiche".
"Era assolutamente ovvio che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica, quindi fosse interesse della proprietà, di una proprietà che, appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l'operatività giornaliera".
"Non è verosimile che qualche dirigente Fininvest/Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la societa' abbia subito per vent'anni truffe per milioni di euro senza accorgersene".
Per i giudici "interponendo fra le Major (da cui si compravano i diritti tv, ndr) e il gruppo Fininvest/Mediaset una serie di società estere, che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti, si otteneva un duplice risultato: non solo si creavano costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all'erario italiano, ma si costituivano, appunto, ingenti disponibilita' finanziarie all'estero".
Tale "strategia" specificano i giudici "traevaorigine in anni in cui Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attivita' del gruppo"."Vi è la piena prova, orale e documentale - scrivono i guidici - che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per cosi' dire del gruppo B e, quindi, dell'enorme evasione fiscale realizzata con le societa' Off Shore".
"Pertanto - continuano i giudici - deve ritenersi che l'interposizione di tutte le suddette entità nelle compravendite dei diritti provenienti dall'estero, sia stata ideata per duplice fine di realizzare un'imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest/Mediaset a beneficio di Berlusconi".
Per i giudici "la sola incensuratezza, e tanto più l'età anagrafica, sono del tutto recessive rispetto a un simile quadro", considerando anche che "la particolare intensità del dolo impone altresì di commisurare la pena in misura adeguata, che oltretutto neppure si è avvicinata al massimo edittale".
A proposito della sentenza della Corte di Appello di Milano "si deve sottolineare come nella motivazione depositata quest'oggi le argomentazioni utilizzate siano del tutto erronee e sconnesse rispetto alla realtà fattuale e processuale".
Lo affermano, in una nota, Niccolò Ghedini e Piero Longo,legali di Silvio Berlusconi e annunciano ricorso. "Saranno oggetto di impugnazione nella certezza di una ben diversa decisione nel prosieguo del processo che riconoscerà l'insussistenza del fatto e l'estraneità del presidente Berlusconi", scrivono.