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“Diritto in pillole”: le immissioni di fumo oltre la normale tollerabilità sono lesive del diritto alla salute e del diritto ad un ambiente salubre.

Con la sentenza n. 309 del 09.01.2013 la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio di diritto in tema di tollerabilità di immissioni, mediante una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844, comma secondo, del codice civile che prevede che “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.

Il caso riguardava la comproprietaria di una palazzina che citava in giudizio il proprio vicino il quale, nell’ambito dello svolgimento di lavori di ristrutturazione, aveva modificato la posizione di due camini posti sulla falda del tetto. Di conseguenza il fumo che fuoriusciva da quello più vicino all’abitazione della donna invadeva in modo insopportabile il terrazzo e le camere dell’edificio di sua proprietà. Nell’atto di citazione, quindi, l’attrice domandava la rimozione della suddetta canna fumaria e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni, anche alla salute, provocati dalle immissioni intollerabili di fumo.

La domanda, tuttavia, veniva respinta sia in primo grado che in appello e, in quest’ultima occasione, veniva precisato che: 1) il convenuto non era tenuto al rispetto delle norme dettate dal codice civile in materia di distanze nelle costruzioni poiché i due fondi non erano confinanti ma divisi da una strada pubblica; 2) non vi era alcun vantaggio per l’attrice nello spostamento in altro punto del tetto della canna fumaria e sussisteva anzi il diritto del convenuto al mantenimento dei camini nella posizione preesistente.

La donna, quindi, depositava ricorso per cassazione lamentando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella sentenza della Corte d’Appello in merito alla tollerabilità dei fumi e delle immissioni provenienti dai suddetti camini. Infatti, nella perizia del consulente tecnico d’ufficio incaricato dalla Corte non veniva affrontato il rilevante aspetto della tollerabilità delle immissioni ma si sosteneva unicamente la inevitabilità delle stesse.

La seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione riteneva fondato tale motivo di impugnazione e accoglieva la domanda dell’attrice. I giudici d’appello, infatti, dovevano innanzitutto accertare la intollerabilità delle immissioni rapportandole al diritto alla salute e al diritto ad un ambiente salubre della persona che le subiva. Tali, infatti, sono i diritti costituzionali che il legislatore ha inteso tutelare con l’art. 844, secondo comma.

Inoltre, secondo la Corte i giudici di merito avrebbero dovuto effettuare una valutazione concreta tra i contrastanti diritti dei fondi oggetto di controversia, considerando primariamente le condizioni dei luoghi e la natura, l’entità e la causa delle immissioni, le necessità quotidiane e civili della umana coesistenza e, sussidiariamente, la priorità d’uso del fondo (ovvero l’esercizio anteriore del diritto di proprietà quale criterio preferenziale nella risoluzione di un conflitto tra diritti reali o di credito).
 Da ciò la decisione della Suprema corte di cassare con rinvio la sentenza impugnata dall’attrice. CS.