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“Diritto in pillole”: la fine della relazione non consente l’improvvisa estromissione del convivente dalla abitazione.

Con la sentenza n. 7214 del 21.03.2013 la Corte di Cassazione ha affrontato un delicato aspetto relativo ai rapporti nelle coppie di fatto.
La vicenda trae origine dalla compravendita di un immobile fatta dal compagno in favore della propria compagna convivente. Apparentemente una normale operazione commerciale, non fosse altro che l’immobile ceduto è quello dove la coppia convive stabilmente e che successivamente la relazione tra i due finisce. A questo punto la donna pretende che l’ex compagno lasci l’appartamento da lei precedentemente acquistato: per “convincerlo” arriva addirittura a richiedere l’intervento dei Carabinieri sostenendo di trovarsi di fronte alla violazione di domicilio da parte di un ladro.

Chiarita la situazione e costretto a consegnare le chiavi alla forza pubblica, l’uomo decideva di agire in giudizio per la rintegra nel possesso dell’appartamento sostenendo che la situazione di convivenza nella abitazione aveva creato di fatto un compossesso e non una semplice detenzione dell’immobile. Si ha compossesso quando più soggetti esercitano congiuntamente il possesso (potere di fatto che si manifesta  in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale – art. 1140 del codice civile) sulla cosa.

Dopo essersi conclusi positivamente per il ricorrente sia il primo grado che il grado d’appello, la convenuta ricorreva per ottenere la cassazione della pronuncia a sé sfavorevole.

La donna deduceva, tra i motivi di impugnazione, che in realtà la convivenza era già terminata da tempo e che comunque il compossesso non poteva essere dedotto dalla convivenza poiché questa non produce effetti sul possesso ma la relazione con il bene sarebbe assimilabile a quella di un ospite.

Tuttavia la seconda sezione civile della Suprema Corte, investita della questione, pur riconoscendo che la convivenza non comporta l’instaurarsi di un diritto possessorio autonomo in capo al non proprietario (come già espresso già in altre occasioni), non ritiene assimilabile la posizione del convivente a quella di un ospite. Al convivente deve essere riconosciuta una situazione paragonabile alla detenzione autonoma fondata sulla relazione familiare: in altre parole la convivenza determina sulla casa in cui si svolge la vita comune della coppia un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità. Conseguentemente l’estromissione violenta o improvvisa legittima le azione a tutela del possesso.

Pertanto, l’unione che sia caratterizzata da stabilità e contribuzione reciproca, pur non essendo ancora equiparabile alla situazione giuridica della famiglia fondata sul matrimonio, comporta che il convivente non proprietario non possa essere estromesso improvvisamente dalla abitazione ma ha diritto di vedersi attribuito un congruo termine al fine di consentirgli di trovare un’altra abitazione. CS.