Il caso in esame riguarda un medico in servizio di guardia medica presso un ospedale che, in quanto obiettore di coscienza, si rifiutava di visitare ed assistere una paziente sottoposta ad intervento per l’interruzione della gravidanza mediante somministrazione farmacologica, nonostante le reiterate richieste di intervento da parte dell’ostetrica e gli ordini impartiti dal primario e dal direttore sanitario.
Nei primi due gradi di giudizio il Tribunale e la Corte d’Appello condannavano il sanitario alla pena di un anno di reclusione con l’interdizione per un anno dall’esercizio della professione medica per il reato di cui all’art. 328 del codice penale che punisce il pubblico ufficiale che rifiuta indebitamente di compiere un atto d’ufficio.
In seguito veniva proposto ricorso per cassazione dall’imputata e sulla questione si pronunciava la sesta sezione penale della Suprema Corte con sentenza n. 14979 del 02.04.2013.
I giudici della Corte nella suddetta pronuncia affrontavano innanzitutto il profilo normativo, chiarendo che la legge n. 194/1978 riconosce al medico obiettore il diritto di rifiutarsi di compiere le procedure dirette a determinare l’aborto, con il limite però della tutela della salute della donna. La stessa legge, infatti, nell’art. 9, comma 5, esclude l’operatività dell’obiezione nei casi in cui sia indispensabile un intervento del medico per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
Inoltre, sempre nell’art. 9 della legge sull’aborto, comma 3, esclude che l’obiezione si possa riferire anche all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento: il medico può rifiutarsi di determinare l’aborto ma non di prestare assistenza prima o dopo i fatti che hanno causato l’aborto. Ed in ogni caso, qualora gli sia richiesto un intervento urgente dovuto ad un imminente pericolo di vita questi non può ometterlo.
Pertanto, la Corte ha ritenuto integrato dalla condotta dell’imputata il reato di cui all’art. 328, sia dal punto di vista oggettivo, avendo opposto il rifiuto di compiere un atto sanitario (recarsi a visitare la paziente al fine di verificarne le condizioni di salute) richiesto più volte dal personale medico e infermieristico in una situazione di oggettivo rischio, sia sotto il profilo soggettivo-psicologico. Infatti, secondo i giudici l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza da parte del medico presuppone la consapevolezza dei limiti entro i quali possa essere esercitato. E dunque non può legittimamente essere invocata l’ignoranza della legge o la buona fede, poiché l’imputata opponeva un persistente rifiuto alle richieste di intervento anche dopo le spiegazioni fornitele dal primario del reparto e dal direttore sanitario. CS.