Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avvia oggi un altro giro di consultazioni per verificare lo sviluppo del quadro politico istituzionale che ha portato Pier Luigi Bersani a non concludere con un esito risolutivo per la formazione del governo.
Si comincia questa mattina alle 11 con il Pdl, poi nel pomeriggio il capo dello Stato riceverà i rappresentanti di M5S, Scelta civica e Pd. Alle 16 toccherà salire al Colle al Movimento 5 Stelle, alle 17 Lista Civica e alle 18,30 la delegazione del Pd.
Restano più che mai aperte: sono quella per Palazzo Chigi, quella per il Quirinale, quella interna al Pd. Legate intimamente una all'altra, condizionano le possibilità di successo del presidente della Repubblica, determinato a evitare il ritorno al voto in tempi rapidi.
Il Capo dello Stato si propone "senza indugio" di esperire "iniziative per gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale". In sostanza, valuterà in prima persona se ci sono ancora degli spiragli (soprattutto sul fronte del Pdl, determinatissimo a spuntare il nome del prossimo inquilino del Colle senza spazi di trattativa) che consentano al segretario del Pd di proseguire la sua corsa o se si dovranno cercare delle alternative come, per esempio, un governo del presidente con un programma definito e guidato da un tecnico di rango a cui affidare l'incarico in tempi strettissimi, forse già da domani sera, si ragiona in ambienti parlamentari.
Tant'è che stanno già circolando i nomi di Saccomanni, Cancellieri e Giovannini, il presidente dell'Istat per questo ipotetico incarico.
Il leader del Pd, dopo aver accettato "con la massima determinazione" il preincarico, si ritrova dopo una settimana di consultazioni alla casella del via del gioco dell'oca. A Napolitano spiega le ragioni dello stallo: "Difficoltà derivate da preclusioni e condizioni che non ho ritenuto accettabili", scandisce senza mai pronunciare la parola "rinuncia", della quale non v'e' traccia neppure nella nota del Quirinale, letta dal segretario generale Donato Marra. La partita, dunque, resta aperta ed e' tutta nelle mani del Capo dello Stato. Bersani è ancora in campo, almeno finché Napolitano non avra' verificato che non ci siano ipotesi più forti e soluzioni più solide.
Non è difficile immaginare che il dialogo fra Napolitano e Bersani abbia per questo motivo sfiorato asperità inedite nel rapporto fra i due. D'altra parte, ieri sera di fronte all'incredulità della stampa, il portavoce del Presidente, Pasquale Cascella, ha dovuto chiarire: "No, l'incarico non è stato restituito, è ancora valido". Formula irrituale che non modifica l'ipotesi molto accreditata che se non ci saranno novità sostanziali al termine degli incontri, o al più tardi sabato mattina, il Capo dello Stato affidi l'incarico a qualcun altro.
Il supplemento istruttorio avviato dal Quirinale viene incontro alle richieste di Bersani, ma ha le ore contate: lo stand by non può protrarsi all'infinito. Né è ipotizzabile che il Quirinale, in assenza di novità di rilievo, mando Bersani in cerca di fortuna alle Camere, senza quei numeri certi al Senato cui ha fatto riferimento fin dal momento del conferimento del mandato al segretario Pd.
"Bersani ha fatto mostra di un cinismo tipicamente comunista. Ha perso un mese, messo a rischio i conti pubblici, e tutto al solo scopo di sfondare il muro di obiezioni del Capo dello Stato, farsi incaricare, andare in Parlamento e farsi bocciare e quindi gestire lui il ritorno alle urne come candidato premier. Tutto questo, al solo scopo di sbarrare la strada a Matteo Renzi", accusa Osvaldo Napoli. E' una lettura che arriva dal PdL e che naturalmente cerca di addossare a Bersani tutte le reponsabilità del fallimento. Ma il problema dei rapporti di forza interni al Pd è ormai chiaro anche agli osservatori 'neutrali': differenti le visioni, differenti le strategie, differenti gli uomini.
Nell'ala bersaniana la presa di posizione del Colle viene letta come una non chiusura totale al tentativo del segretario e si spera in un 'secondo tempo' per Bersani. Dall'altra parte, molti vedono nella scelta di Giorgio Napolitano di prendere personalmente la situazione il tentativo di verificare l'ipotesi di dare l'incarico a qualcun'altro. Eventualità che farebbe scoppiare le divisioni interne al partito. Anche questo spiegherebbe il nervosismo di Bersani nei confronti del Colle. Se un'ala del partito e'pronta ad andare al voto, non manca certo chi fa notare che il Pd, soprattutto dopo aver a piu' riprese sottolineato la necessità di dare un governo al Paese, non possa in quel caso esimersi dal favorirne una nascita. Al momento, tutto tace. Tace anche Matteo Renzi, piegato alla promessa di fedeltà e disciplina. Ma ambienti vicini al sindaco di Firenze si dicono contrari a elezioni subito. Proprio come Napolitano.
Il che significa, alla fine, favorire la nascita di un governo sostenuto anche da Monti e Pdl, ipotesi alla quale Bersani continua a dirsi fortemente contrario. Lo 'spettro' del governissimo agita le acque Pd. Rosy Bindi avrebbe minacciato di rinunciare al suo incarico di presidente del partito se si dovessero avvallare 'inciuci'.
I timori del Pd sono rivolti, inoltre, anche alla prossima partita del Colle. La preoccupazione è quella che in caso di fallimento di Bersani si paghino care alcune scelte come quella di 'tenersi' entrambe le presidenze delle Camere senza darne una all'opposizione. Decisione che a questo punto si può rivelare controproducente nella vicenda dell'elezione del nuovocapo dello Stato.
La partita del Quirinale è al momento, la più difficile ed incerta. Quella più a cuore a tutti i partiti e proprio per questo la più ingombrante. Condiziona, ad esempio, anche l'autorevolezza di una soluzione provvisoria come quella del 'governo del presidente' per Palazzo Chigi. L'eventuale premier, infatti, si troverà ben presto alle spalle un altro inquilino del Quirinale, diverso da Napolitano che potrebbe indicare, come accadde con Monti, quale figura può assumere il timone del governo.
La partita per il Quirinale prenderà il via in una data che sarà comunicata dai presidenti delle Camere il prossimo 15 aprile. A riunirsi nell'aula di Montecitorio saranno i 630 deputati, i 319 senatori e i 58 rappresentanti scelti dalle regioni. In totale 1007 "grandi elettori" che avranno la responsabilita' di scegliere chi dovra' arbitrare il gioco politico per i prossimi sette anni dal colle più alto della capitale.
Una volta esaurite le prime tre votazioni, durante le quali la Costituzione prevede un quorum alto (due terzi del plenum), l'elezione del capo dello Stato potrà avvenire a maggioranza assoluta. Il numero magico è 504: la meta' più uno dei grandi elettori. Ebbene, la coalizione che ha vinto alla Camera ed è maggioranza relativa al Senato, si ferma poco sotto quella soglia.
Conti alla mano, il pallottoliere di Bersani e Vendola, anche considerando il pieno di tutti gli alleati, non supera quota 499. Cinque voti in meno della fatidica soglia.
Il centrosinistra in Parlamento puo' contare su una base di 472 voti: ne fanno parte tutti i deputati e senatori del Pd, di Sel, nonché quelli del centro di Tabacci, i socialisti di Nencini, gli altoatesini della Svp, i tre deputati del Maie eletti in America latina. Nel calcolo rientra anche il senatore a vita Emilio Colombo, che ha presieduto la seduta inaugurale di Palazzo Madama (ma non l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, bloccato da problemi di salute).
A costoro vanno aggiunti i grandi elettori che arriveranno a Roma per rappresentare le Regioni nelle votazioni per il Colle. Le Regioni si sono impegnate a procedere all'elezione entro il 15 aprile, in modo da evitare perdite di tempo. Il Friuli Venzia Giulia, chiamato alle urne nella secoda metà di aprile, si è avvantaggiato e ha già eletto i suoi. La Costituzione prevede che ogni consiglio regionale elegga tre delegati (tranne la Valle d'Aosta che ne elegge uno). Due vanno alla maggioranza, e uno all'opposizione. In totale si tratta di 58 voti "extra" che si aggiungono a quelli dei parlamentari nazionali. Al centrosinistra ne andranno complessivamente 27, ai centristi dell'Udc 3, al centrodestra 26, ai grillini 2.
Fatte le somme, il centrosinistra si ferma a 499 grandi elettori. Cinque in
meno di quelli necessari per eleggere il successore di Napolitano.
Con uno scarto cosi' ridotto, e con le votazioni che si svolgono a scrutinio segreto, ogni scenario diventa possibile: legittimo sperare nel centrosinistra nell'arrivo di voti in liberta' dagli altri schieramenti, ma allo stesso modo può materializzarsi l'incubo dei franchi tiratori.
Anche per vincere la partita del Quirinale, insomma, il centrosinistra deve convincere qualcun altro. In campo ci sono i 260 del centrodestra e i 165 dei grillini . Ma soprattutto i 71 voti dei montiani, che potrebbero essere il vero ago della bilancia.