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“Diritto in pillole”: l’amministratore che affigge nell’atrio condominiale i nomi dei condomini morosi commette il reato di diffamazione.

La Suprema Corte di Cassazione si è di recente occupata della condotta tenuta da un amministratore di condominio il quale aveva affisso nell’atrio condominiale un avviso circa l’imminente distacco della fornitura idrica nei confronti di alcuni condomini i cui nomi venivano in esso espressamente indicati. Tale distacco avveniva a seguito della persistenza del debito nei confronti del gestore del servizio idrico da parte di tali condomini.

Dapprima il giudice di pace e in seguito, nel giudizio d’appello, il Tribunale competente avevano ritenuto fondata la responsabilità penale dell’amministratore condominiale ai sensi dell’art. 595 del codice penale per aver commesso il reato di diffamazione, offendendo la reputazione delle persone indicate nel foglio. Infatti, secondo il Tribunale in tal caso la condotta dell’amministratore non poteva ritenersi giustificata neppure ai sensi dell’art. 51 del codice penale (cioè come esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), poiché l’affissione sulla porta dell’ascensore del palazzo operava una comunicazione percepibile da chiunque avesse frequentato lo stabile e andava perciò al di là dell’ambito di potenziale interesse della notizia.

Inoltre, essendo emerso nell’istruttoria di primo grado che l’imputato non aveva convocato una assemblea da almeno tre anni e che era a conoscenza da diverso tempo della situazione debitoria dei condomini, il Tribunale aveva escluso che egli fosse stato costretto a tale comportamento dalla necessità di informare urgentemente i condomini dell’imminente distacco essendo impossibilitato a convocare l’assemblea o inviare delle missive.
A seguito del ricorso presentato dall’imputato veniva investita della questione la quinta sezione della Corte di Cassazione, la quale nella sentenza n. 4364 del 29.01.2013 si soffermava in particolare su due questioni.

Innanzitutto sulla lamentata mancata applicazione della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere, la Corte ha ritenuto non applicabile al caso concreto tale norma poiché, anche volendo ammettere che vi fosse la reale esigenza di una informazione celere della imminente interruzione del servizio, l’imputato avrebbe comunque dovuto calibrare il contenuto dell’informazione a tale esigenza evitando di menzionare anche l’identità dei condomini morosi.

In merito alla seconda questione, invece, sulla assenza di dolo da parte dell’amministratore il quale non sarebbe stato animato dalla volontà di utilizzare frasi offensive, la Suprema Corte confermava un orientamento già espresso in tema di delitti contro l’onore per il quale non è richiesta l’intenzione specifica dell’autore di voler ingiuriare o diffamare ma è sufficiente la volontà consapevole di utilizzare parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere.

Pertanto la Corte ha concluso per il rigetto del ricorso dell’imputato, confermando la sua condanna al pagamento di una pena pecuniaria e delle spese processuali. CS.

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