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“Diritto in pillole”: l’utilizzo di farmaci anabolizzanti vietati per sole finalità estetiche non costituisce reato di ricettazione di sostanze dopanti

Il caso in esame riguarda l’assunzione da parte di tre giovani di sostanze anabolizzanti, acquistate illegalmente con la finalità di modificare ad ogni costo il proprio aspetto fisico. I tre imputati venivano  successivamente condannati sia in primo grado che in appello alla pena di 5 mesi di reclusione e 300 euro di multa per il reato di ricettazione di farmaci dopanti.

Investiti della questione per effetto del ricorso presentato dai condannati, i giudici della Suprema Corte di Cassazione accoglievano le censure dei ricorrenti con particolare riferimento alla mancanza dell’elemento soggettivo del dolo specifico in capo ai tre imputati. L’art. 648 del codice penale che disciplina il reato di ricettazione prevede, infatti, che viene punito colui che acquista, riceve od occulta  denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto”. Perché si possa configurare questo delitto è dunque necessario che l’autore della condotta vietata agisca per trarre un profitto.
I giudici di legittimità, però, nella sentenza n. 843 del 09.01.2013 hanno escluso che in questo caso potesse sussistere un fine di profitto sportivo, collegato alla partecipazione a competizioni sportive a livello agonistico o simili. L’unica finalità specifica perseguita era quella di modificare il proprio aspetto accettando il rischio di subire danni irreparabili alla salute causati dall’assunzione di sostanze tossiche. Perciò, sulla base di tale ragionamento viene meno anche la sussistenza del reato presupposto del delitto della ricettazione, il reato di doping previsto dall’art. 9, primo comma, della legge 376 del 2000.

Vi è però da dire che, secondo un orientamento ormai pacifico della giurisprudenza di legittimità, la nozione di “profitto” di cui all’art. 648 non comprende solo il lucro ma qualsiasi utilità che l’agente intenda conseguire, anche non patrimoniale. Tuttavia, nella sentenza in discorso, i giudici hanno precisato che se è indubbio che la nozione di profitto si debba intendere come qualsiasi utilità, il concetto di “utilità” non possa estendersi all’infinito: in tal caso, infatti, si giungerebbe a sanzionare la condotta di acquisto o ricezione della cosa sulla base della semplice conoscenza della sua provenienza illecita, sulla base del semplice dolo generico che non è però previsto dalla norma.

Secondo i giudici, conseguentemente, la finalità di compiere un’azione in danno di se stessi, anche se per perseguire una utilità immaginaria, esclude la possibilità di integrare il fine di profitto e, quindi, il dolo specifico richiesto dalla norma.

In conclusione, non si può configurare il reato di ricettazione di farmaci dopanti se l’assunzione avviene  al solo scopo estetico e non è collegata ai profitti dei risultati  di competizioni sportive, anche se viene messa in pericolo la propria salute.

Sulla base di tali motivazioni i giudici della seconda sezione penale della Corte annullavano la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. CS.