Con la sentenza n. 15334 del 13.09.2012 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio della non configurabilità nel nostro ordinamento della servitù di parcheggio. Tale pronuncia era stata originata dalla domanda proposta da alcuni condomini di essere reintegrati nel possesso di un secondo cortile, facente parte dello stabile condominiale, ove erano soliti parcheggiare le proprie autovetture. Infatti, la società proprietaria di tale cortile aveva loro precluso l’accesso mediante l’apposizione di una sbarra all’ingresso dello stesso.
Nel giudizio di primo grado il Tribunale aveva disposto la reintegra nel possesso e condannato la convenuta alla rimozione della sbarra e al pagamento delle spese. A seguito di tale pronuncia, la società ricorreva in appello ed otteneva una decisione favorevole che ribaltava quanto stabilito dal giudice di prime cure. Secondo la Corte d’Appello, infatti, l’azione proposta dai condomini non poteva ricevere la tutela richiesta poiché non sussistevano i presupposti necessari affinché si potesse parlare di possesso del bene, mancando del tutto il cosiddetto “animus rem sibi habendi”, l’intenzione di utilizzare una determinata cosa come se si fosse proprietari.
A questo punto i condomini proponevano ricorso per Cassazione e, insistendo nella loro domanda, motivavano lo stesso ritenendo il possesso del secondo cortile mediante parcheggio delle loro auto corrispondente ad un diritto reale a parcheggiare nel cortile di cui altri erano proprietari, configurandosi sostanzialmente una servitù.
Tuttavia la Suprema Corte ha rigettato la domanda possessoria dei ricorrenti proprio ritenendo non ammissibile nel nostro ordinamento una servitù personale quale quella di parcheggio. La servitù è, infatti, un diritto reale di godimento ed è definita dall’art. 1027 del codice civile come un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un diverso proprietario. Dunque l’utilità deve essere legata ad un fondo non ad un interesse personale come nelle servitù personali che, quindi, sono da considerarsi nulle per contrarietà al numero chiuso dei diritti reali.
La Corte, richiamando quanto già enunciato nella sentenza n. 1551 del 2009, afferma che “la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari”. Non è ammissibile, pertanto, una servitù caratterizzata da una limitazione di un fondo imposta non in favore ad altro fondo ma a vantaggio di determinati interessi personali quali l’esigenza di avere un comodo parcheggio. CS