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“Diritto in pillole”: la assegnazione della casa familiare al coniuge tutela l’interesse dei figli ad abitare nella casa coniugale in caso di separazione dei genitori

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in merito al principio su cui si fonda la assegnazione della casa coniugale al coniuge per effetto della avvenuta separazione, consensuale o giudiziale.

La vicenda prende le mosse dal ricorso presentato dal marito, separato consensualmente e proprietario della casa assegnata alla moglie e alla figlia di sei anni, con il quale domandava al Tribunale ordinario di Messina la modifica delle condizioni di separazione e, nello specifico, la revoca della assegnazione della casa. Tale richiesta veniva motivata in ragione della circostanza per cui la moglie e la figlia non vi abitavano più stabilmente, essendosi trasferite da tempo presso la casa dei nonni materni.

La moglie, costituitasi in giudizio, deduceva che il trasferimento avveniva per soli primi cinque giorni della settimana a causa del suo lavoro di infermiera turnista nel reparto di terapia intensiva neonatale. Perciò lei e la figlia continuavano ad abitare nella casa familiare tutti i fine settimana, i giorni festivi e durante la stagione estiva.

All’esito della istruzione probatoria, il Tribunale di Messina respingeva il ricorso presentato dal marito, il quale, avverso tale decisione proponeva successivamente reclamo alla Corte d’Appello. Ma anche tale procedimento si concludeva con il rigetto della domanda.

Contro tale ulteriore pronuncia negativa, il marito soccombente ricorreva per Cassazione ribadendo come la casa familiare avesse perduto la sua funzione naturale di tutela della figlia minore in ragione del criterio della prevalenza del luogo ove si svolgeva effettivamente la vita della minore. Inoltre, ulteriore motivo di critica delle pronunce del Tribunale e della Corte d’Appello era rappresentato dall’aver fondato la propria decisione unicamente sulle dichiarazioni rese dalla moglie nell’interrogatorio libero, senza aver ammesso il suo interrogatorio formale né le ulteriori prove testimoniali richieste.
Con la sentenza n. 14348 del 09.08.2012 la prima sezione della Corte di Cassazione si pronunciava sul caso, rigettando definitivamente le pretese del ricorrente.

Infatti, secondo i giudici di legittimità il principio stabilito dall’art. 155-quater del codice civile, il quale al primo comma prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, comporta che la assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati riguardi la stessa casa dove si svolgeva la vita della famiglia allorché la stessa era unita ed inoltre che il figlio o la figlia siano minori o maggiorenni ma in condizione di non autosufficienza economica. Accanto a tali requisiti vi è, quale ulteriore presupposto, l’affidamento al coniuge assegnatario della prole.

In ragione di tale principio non vi è ragione di ritenere, nel caso in esame, che la scelta adottata dalla madre assegnataria possa interpretarsi come un abbandono della casa coniugale, in quanto l’allontanamento infrasettimanale per motivi di lavoro non è connotato dal carattere della stabilità. Inoltre, l’ulteriore censura legata alla mancata assunzione delle prove richieste dal ricorrente veniva ritenuta infondata poiché non veniva dimostrata la loro rilevanza e “decisività” ai fini di una pronuncia diversa e favorevole.

Pertanto, la Corte ha ritenuto di dover confermare l’assegnazione della casa alla moglie in ragione della tutela dell’interesse prioritario della prole a permanere nell’habitat domestico di cui ha fruito insieme ai genitori. CS.