La timbratura del cartellino segnatempo da parte del lavoratore dipendente è stata da diverso tempo oggetto di discussione nell’ambito della giurisprudenza penale italiana. In particolare, si è molto discusso se la mancata timbratura da parte del dipendente pubblico in occasione di allontanamenti dal luogo di lavoro potesse integrare il reato di falso ideologico in atto pubblico o di truffa.
La Cassazione, come confermato dalla sentenza del 28.10.2009 n. 41471, è orientata nel ritenere che i cartellini marcatempo rappresentino una prova della presenza sul luogo di lavoro dei dipendenti nel periodo intercorrente tra l’ora d’ingresso e quella di uscita e, di conseguenza, siano rilevanti ai fini della regolarità di servizio come pure della retribuzione spettante.
Perciò l’omessa timbratura del cartellino in occasione di allontanamenti intermedi (nel 2009 la Corte si occupò proprio del caso di un dipendente comunale che si recò allo stadio nel pomeriggio durante l’orario di lavoro), impendendo il controllo sulla quantità dell’attività lavorativa prestata, rappresenta un artificio idoneo ad indurre colui che leggerà il cartellino in errore e configura dunque il reato di truffa. Non è una attestazione falsa.
Quest’anno i giudici del “Palazzaccio” sono ritornati ad occuparsi di tale questione con la sentenza n. 212 del 10.01.2012, affrontando un ulteriore aspetto. Nel caso in esame, infatti, una dipendente in servizio presso l’Ufficio legale di un ospedale veniva imputata del reato di truffa ai danni della Asl per aver ripetutamente timbrato il cartellino sia in entrata che in uscita in un luogo diverso da quello in cui svolgeva il proprio lavoro.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, aderendo al consolidato orientamento della giurisprudenza per il quale la condotta del pubblico ufficiale integra il reato di truffa se tale condotta produce un danno economicamente rilevante, aveva ritenuto assente proprio il requisito della apprezzabilità economica del danno.
Contro tale decisione ricorreva per Cassazione il difensore della Asl costituitasi parte civile, il quale motivava l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione del provvedimento censurando la errata valutazione del danno cagionato all’ente pubblico. Tale valutazione, infatti, non poteva esaurirsi nella apprezzabilità economica dei brevi periodi di assenza ma doveva includere il vantaggio economico correlato alla percezione della stipendio ordinario e straordinario, nonché dal vantaggio nella cura dei propri interessi personali.
I giudici di Piazza Cavour, tuttavia, hanno respinto il ricorso della parte civile perché, si legge nella sentenza in discorso, con lo stesso il ricorrente ha sollecitato un riesame del merito attraverso la rilettura del materiale probatorio che non è consentito in tale sede. Inoltre, secondo i giudici di legittimità, nella pronuncia della sentenza di non luogo a procedere il giudice di prime cure aveva correttamente dato conto, in modo adeguato e preciso, delle ragioni per le quali riteneva infondato l’impianto accusatorio della procura. Pertanto la Corte ha rigettato il ricorso con condanna alle spese per il ricorrente. CS.