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“Diritto in pillole”: diritto al risarcimento per i dipendenti esposti alle polveri dell’amianto.

Con la sentenza n. 33311 del 27 agosto 2012 la IV sezione della Corte di Cassazione si è occupata del diritto al risarcimento per l’esposizione alle polveri d’amianto di alcuni dipendenti della Fincantieri di Porto Marghera deceduti per malattie oncologiche polmonari.

Il processo vedeva imputati i vertici amministrativi di Fincantieri per la violazione dell’art. 437 c.p. per l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e per i delitti di lesioni colpose ed omicidio colposo (artt. 589 e 590 c.p.), nonché per la violazione di numerose norme antinfortunistiche. Tali condotte avrebbero causato l’insorgere di gravissime patologie che avevano portato al decesso non solo di alcuni lavoratori dipendenti ma anche delle mogli di alcuni di loro, venute in contatto con gli indumenti da lavoro dei loro coniugi ricoperti delle polveri tossiche.

Infatti, all’esito della approfondita istruttoria condotta dai giudici di primo grado e di appello circa le condizioni di lavoro all’interno della fabbrica, emergeva il largo uso di amianto per lo svolgimento dell’attività lavorativa di costruzione e riparazione di navi passeggeri, navi merci e navi militari, a partire dal 1933 fino al 1992 (quando l’utilizzo fu vietato per legge).
Dalle dichiarazioni dei numerosi testimoni, emergeva inoltre l’assenza di qualsiasi protezione individuale (maschere, aspiratori, etc.) e di un sistema di abbattimento delle polveri (ad es. idranti per bagnare i materiali). L’amianto veniva utilizzato perfino a scopo protettivo, nelle mantelle ignifughe e nei pannelli di protezione dal calore delle saldature.

Investiti della questione, i giudici di ultima istanza hanno precisato nella sentenza in discorso come non assuma alcuna rilevanza l’individuazione dell’esatto momento di insorgenza della patologia poiché quest’ultima poteva essere causata anche dalla sola iniziale esposizione, dovendosi ritenere ininfluenti le esposizioni successive sul decorso causale. Quindi, anche una esposizione minima, se dalla stessa consegue l’insorgere di una malattia oncologica anche parecchio tempo dopo, può essere fonte di responsabilità per il datore.

La Corte ha dunque stabilito la sussistenza del nesso di causalità (cioè la relazione tra il fatto e l’evento che ne consegue)  tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso dei lavoratori in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto. Pur non potendo determinare l’esatto momento di insorgenza della malattia, infatti, si ritiene che la condotta doverosa da parte del datore (il quale riveste una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore) avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza.

Pertanto, è stata confermata la piena responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti e la condanna degli stessi al risarcimento del danno nei confronti dei lavoratori o dei loro prossimi congiunti e delle associazioni costituitesi parte civile, nonché la condanna al pagamento delle spese processuali. CS.