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Trattativa Stato – Mafia, indagine chiusa; 14 gli indagati e tra questi nomi eccellenti

La trattativa stato e mafia c'è stata. Questo emerge dai contenuti dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari della direzione distrettuale di Palermo. Dopo 4 anni di indagine il pool evidenzia un disegno criminoso che vede il concorso di esponenti di vertice di Cosa Nostra, pubblici ufficiali, esponenti politici di primo piano in concorso con il Capo della Polizia Vincenzo Parisi e il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Francesco Di Maggio entrambi deceduti. Abuso di potere, violazioni, opera comune per turbare lo Stato, il Governo attrraverso l'organizzazione e l'esecuzione di stragi, omicidi ai danni di esponenti politici e delle istituzioni. Insomma, il contenuto degli articoli 110, 338 e 339 del codice penale L'indagine ha visto le deposizioni di uomini dello stato, pentiti, ex ministri e interessa 14 persone, che hanno avuto ruoli diversi.

E vediamoli questi ruoli e le accuse mosse. Intanto i vertici di Cosa Nostra. Sono Totò Riina, Bernardo Provenzano e Antonino Cinà che attraverso Vito Ciancimino chiedono ad esponenti delle Istituzioni benefici sulla legislazione di contrasto alla criminalità organizzata, l'aggiustamento di alcuni processi, il trattamento penitenziario. E' lo scambio offerto allo stato per porre fine alla strategia di violento attacco alle istituzioni che era cominciata con l'omicidio dell'on. Salvo Lima.

Se da una parte c'è Cosa Nostra dall'altra c'è lo stato. La comunicazione di Ciancimino arriva e in questo quadro Antonio Subranni , Mario Mori e Giuseppe De Donno (comandante, vicecomandante e ufficiale dei ROS) contattano uomini di Cosa nostra proprio attraverso Ciancimino. L'uomo che - si legge nelle carte "era ambasciatore e poteva agevolare un canale di comunicazione con Cosa Nostra". Questo l'inizio. Ma le indagini definiscono anche un ruolo diverso. Subranni Mori e De Donno favoriscono lo sviluppo di una trattativa attraverso reciproche e parziali rinunce. Cosa nostra cessa le stragi e lo Stato diminuisce l'esercizio dei poteri repressivi per esempio revocando in molti casi il 41 bis. Non solo. E' ai Ros, a quanto emerge dalle indagini, che è affidato un compito, quello di assicurare il protrarsi della latitanza di Bernardo Provenzano.

Ma chi è l'uomo dello Stato che interviene nella trattativa. Secondo il pool di Ingroia insieme a quella di uomini attualmente ignoti emerge quella di Calogero Mannino. Dai primi mesi del 1992 chiede agli apparati info-investigativi di acquisire informazioni da uomini collegati a Cosa nostra per aprire la trattativa, per far cessare la strategia stragista che oltre a Lima prevedeva l'eliminazione di vari esponenti di Governo tra cui lui stesso. Ed è sempre Mannino, poi, a trattativa avviata, ad esercitare pressioni tese ad alleggerire lo stato di detenzione determinato dal 41bis.

Ma dopo l'assassinio di Salvo Lima ci furono le stragi di Palermo. Prima Falcone e poi Borsellino a Capaci e a via d'Amelio. Poi, nel 93, le stragi di Roma Firenze e Milano.

Altro quadro politico. E secondo la Dda di Palermo la trattativa ha altri protagonisti. Sono Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca a cercare altri agganci. Prospettano al capo del Governo Silvio Berlusconi tramite Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri le stesse richieste per mettere fine alle stragi. Sono condizione ineludibili. Marcello Dell'Utri, stando alle carte, si propone e si attiva, dopo l'omicidio Lima, come interlocutore dei vertici di Cosa nostra. Rapporto che continua anche quando si tratta di studiare misure di carcerazione più morbide per Vito Ciancimino e Totò Riina. Agevolando così la trattativa. Ed ha un ruolo anche nel comunicare le "minacce mafiose" contro lo stato al Presidente del Consiglio Berlusconi. Ulteriore ruolo che che spinge lo stato alla trattativa con Cosa Nostra. Per loro dieci le aggravanti dell'associazione a delinquere.

Per i funzionari dello stato De Donno, Mori e Subranni anche l'abuso di potere e la violazione dei ruoli di pubblici ufficiali. Ma nell'indagine c'è anche Nicola Mancino. Falsa testimonianza per l'allora capo del Viminale. Nella deposizione resa a Palermo lo scorso 24 febbraio ha detto il falso affermando di non sapere nulla dei contatti tra il Ros e il vertice di Cosa nostra attraverso Ciancimino dopo la strage di capaci, di non essere stato a conoscenza delle lagnanze dell'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli proprio sull'operato di Mori e De Donno del Ros ne delle motivazioni che lo portarono a sostituire al ministero dell'interno Vincenzo Scotti. Poi l'aggravante di avere testimoniato il falso per assicurare impunità a uomini delle istituzioni coinvolti nella trattativa.

Il dodicesimo "uomo" oggetto dell'indagine è Massimo Ciancimino. Due le accuse. l'associazione a delinquere perché era il latore dei messaggi che il padre Vito mandava a Provenzano fino al 2002. E poi, tento di creare false prove tese ad incolpare Gianni De Gennaro di avere rapporti illeciti con Cosa Nostra.

Altri indagati per false informazioni al PM sono Giovanni Conso ex ministro della Giustizia e Adalberto Capriotti, all'epoca capo di Francesco Di Maggio a capo della direzione amministrazione penitenziaria. Conso non ha convinto i magistrati quando ha affermato, nel corso della sua deposizione, che sulla revoca del carcere duro a oltre 300 mafiosi, aveva "agito in solitudine". Processo comunque sospeso, per loro, fino a quando non si definirà il procedimento penale principale. Stralciate quindi, per ora, le loro posizioni.

Gli indagati hanno ora 20 giorni di tempo per presentare memorie e documenti a loro difesa, chiedere al PM di compiere particolari atti di indagine e di essere sottoposti a interrogatorio. Ma se i contenuti dell'indagine verranno confermate dal processo, almeno in parte i misteri sulla trattativa Stato Mafia verranno svelati.

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