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Legge di riforma del Lavoro ed rimodulazione dell’art. 18.

La riforma delmercato del lavoro Monti- Fornero segna una svolta nel metodo e nei contenuti(se positiva o meno lo diranno i fatti). Nel metodo perché sancisce la finedella concertazione, che dall’inizio degli anni Novanta ha attribuito aisindacati un potere di codecisione sulle questioni di politica del lavoro e delwelfare. Nei contenuti perché abbatte il totem dell’articolo 18, la norma delloStatuto dei lavoratori del 1970 che garantisce il diritto al reintegro nelposto di lavoro a chi viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivonelle aziende con più di 15 dipendenti.

Una tutelaassoluta sancita nella legge al termine dell’«autunno caldo» del 1969, unastagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramentodelle condizioni dei lavoratori in un’Italia profondamente diversa, trainatadal lavoro nelle grandi fabbriche, sia private sia delle partecipazionistatali, in un mondo non globalizzato.

Fin dagli anniOttanta gli studiosi si sono interrogati sui problemi creati dall’articolo 18.Nel quale, per esempio, si è vista una delle cause del nanismo delle aziendeitaliane e un ostacolo agli investimenti dall’estero. Ma non mancano anche lecritiche di parte sindacale. Già nel 1985 il Cnel, il parlamentino delle partisociali, approvò un documento preparato dalla Commissione Lavoro, della qualefacevano parte figure storiche del sindacato come Boni, Benvenuto e Lama, dovesi addebitavano all’articolo 18 «assurde disparità di trattamento», perché«contrappone un'area ristretta di lavoratori iperprotetti a un'area molto piùvasta di lavoratori privi di qualunque protezione», quelli delle aziende fino a15 dipendenti, e si affermava: «L’esperienza applicativa dell’articolo 18 delloStatuto non suggerisce un giudizio positivo sull’istituto della reintegrazione,che nei termini generali in cui è previsto nel nostro diritto non trovariscontro in alcun altro ordinamento ».

La commissioneproponeva quindi, guardando anche allora al modello tedesco, di limitare ildiritto al reintegro ai soli licenziamenti discriminatori come era previsto (sispiega nel documento)nel testo originario dello Statuto presentato dal ministrodel Lavoro Giacomo Brodolini, poi modificato in Parlamento. Per gli altrilicenziamenti si suggeriva invece la riassunzione o l’indennizzo a scelta deldatore di lavoro. Tutte queste regole il Cnel le proponeva però per le aziendecon più di 5 dipendenti.

Ma bisognaarrivare alla fine del 2001 per vedere il primo vero tentativo di riforma,quando il governo Berlusconi approva il disegno di legge delega 848. Cheprevede, tra l’altro, la sospensione dell’articolo 18 (sostituzione del dirittoal reintegro col risarcimento) in tre casi: per le aziende escono dal nero; perquelle che, assumendo, superano i 15 dipendenti; quando i contratti a terminevengono trasformati a tempo indeterminato.

La sospensione èsperimentale per 4 anni. Contro questo provvedimento la Cgil e la sinistraingaggiano una battaglia senza precedenti, che culmina nella manifestazioneoceanica della Cgil di Sergio Cofferati al Circo Massimo il 23 marzo 2002, cheindurrà il governo a stralciare gli articoli sui licenziamenti. Ancora ungoverno Berlusconi, nel 2010, prova a intervenire sull’articolo 18, ma inmaniera indiretta, con il collegato lavoro del ministro Sacconi che prevede la«clausola compromissoria» con cui al momento dell’assunzione azienda elavoratore si impegnano a demandare a un arbitro, che decide secondo equità,anziché al giudice le possibili controversie, comprese quelle sui licenziamenti.Ma qui è il presidente della Repubblica Napolitano a intervenire costringendoil governo a far marcia indietro.

Ma passa meno diun anno e, nella manovra di Ferragosto (dl 138 del 2011) compare l’articolo 8che autorizza aziende e sindacati a stipulare accordi riguardanti anche leconseguenze del licenziamento (tranne quello discriminatorio) in derogaall’articolo 18. Il provvedimento viene approvato, ma il 22 settembreConfindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl si impegnano formalmente a non utilizzarel’articolo 8 per quanto riguarda i licenziamenti. L’articolo 18 è salvo. Madura poco. A novembre il governo Berlusconi cade. Arriva Mario Monti, cheannuncia tra le sue priorità la riforma del lavoro. Il 18 dicembre, nella primaintervista da ministro del Lavoro, Elsa Fornero dice al Corriere chel’obiettivo è combattere la precarietà, allargare la rete degli ammortizzatori,ma che si discuterà anche dell’articolo 18, perché non ci possono essere«totem».

Ecco in breve cosa prevede la nuova proposta del governo.

Licenziamenti - Illicenziamento potrà avvenire per motivi economici, attinenti all’attivitàproduttiva e all’organizzazione del lavoro. Possono poi esserci i licenziamentiper motivi disciplinari, e per questi il giudice potrà decidere se serve unindennizzo o il reintegro. Per il licenziamento valutato discriminatorio ilgiudice decide il reintegro

Termine - Lariforma non elimina ma di fatto disincentiva i contratti a termine attraversola penalizzazione dell’1,4% di versamenti contributivi in più. Questi in partepotranno essere rimborsati se il lavoratore viene stabilizzato. Alcuni temonoche le imprese comprimano i salari netti per finanziare l’1,4% in più dicontributi

Indennità - Lamisura dell’indennità in caso di licenziamento sarà decisa dal giudice, per unadurata fra i 15 e i 27 mesi. L’Aspi, Assicurazione sociale per l’impiego,entrerà a regime nel 2017 rimpiazzando l’indennità di mobilità. Dovrebbepartire dal 70% per gli stipendi fino a 1.250 euro. Il limite massimo è fissatoa 1.119 euro al mese

Ammortizzatori -Resta la cassa integrazione, ma con alcune modifiche. Anche la cassaintegrazione straordinaria rimane ma, dice il ministro Elsa Fornero, sarà«ripulita»: non varrà per cessazione di attività e di mobilità. In caso dicessazione di fatto dell’attività dell’impresa, si passa dalla Cig a mobilità eAspi

Precari - Per igiovani precari lo strumento principale d’inserimento diventa l’apprendistato,ma le aziende potranno ricorrervi solo se poi assumono una parte degliapprendisti. Per il lavoro a tempo determinato ci sarà un contributo extradell’1,4%, in parte recuperabile in caso di stabilizzazione. Stretta sul falsolavoro autonomo in realtà subordinato

Tutele - Fra letutele inserite spiccano quelle a favore delle donne: viene istituito ildivieto di firmare le dimissioni in bianco al momento dell’assunzione. Siinserisce anche la paternità obbligatoria in via sperimentale per tre anni. Letutele sui licenziamenti sono demandate al giudice: reintegro suidiscriminatori o indennizzi in altri casi

Giudice - Ilruolo del giudice resta centrale nelle controversie di lavoro. Sarà infatti ilmagistrato (salvo ulteriori modifiche) a decidere sulle indennità prevista incaso di licenziamento per motivi economici. Deciderà sull’attribuzione esull’entità che può andare da un minimo di 15 mesi a un massimo di 27 mesi

Donne - Per ledonne arriva una maggiore tutela in caso di maternità. La riforma infattiprevede una stretta sulle dimissioni in bianco che alcune aziende fanno firmarealle lavoratrici assunte. Una condizione illegale che di fatto rende moltorischiosa sotto il profilo lavorativo un’eventuale maternità, che «costringe»le donne alle dimissioni.

Quindi dopo 42anni di onorato servizio la norma simbolo dello Statuto va in pensione. E muoreil posto fisso.

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