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Discorso sullo stato dell’Unione,Obama: no alle diseguaglianze

Obama torna sotto i riflettori e apre la sua campagna elettorale per il voto del 6 novembre, dopo un periodo in cui le cronache politiche riferivano soprattutto della corsa fra i candidati repubblicani, impegnati nelle primarie per scegliere lo sfidante alla casa Bianca.

Corsa litigiosa in cui specie i due favoriti, Mitt Romney e Newt Gigrich, si attaccano sui temi dell'economia e delle tasse anche sul piano personale.

E anche Obama parla di economia, tasse e società: volando però ben più alto, come si conviene a un presidente in carica che si rivolge formalmente al parlamento e al popolo in uno degli appuntamenti istituzionali più classici e attesi: il discorso annuale sullo Stato dell'unione.

Racconta un'America più forte e più unita, che si riaffaccia potente sullo scenario mondiale, che non deve tornare indietro sulla strada che sta affrontando.

Attacca le disuguaglianze, Obama, e presenta il suo piano di rilancio e innovazione.

Costruito sulla rivitalizzazione di produzione, energia pulita, ed educazione. Vecchi cavalli di battaglia ripresi e lucidati per l'occasione: in nome di una sfida generale che Obama implicitamente ammette di non avere ancora vinto; un'idea di economia delle giuste opportunità dove tutti possano giocare con le stesse regole.

Ammonisce i repubblicani a non ostacolarlo in nome di esternalizzazioni, debito e falsi profitti finanziari. Li accusa di difendere gli interessi dei ricchi a spese di tutti gli altri.

Rivendica gli obiettivi raggiunti: i posti di lavoro riguadagnati dopo la crisi del 2008.

E avanza le sue proposte: tassa minima sui profitti dei ricchi, bastone e carota per le compagnie per indurle a riportare posti di lavoro negli Stati Uniti, investimenti per le infrastrutture, come le ferrovie ad alta velocità, e per le energie pulite e per l'alta tecnologia, aiuti ai proprietari di case strozzati dalle ipoteche.

Obama persegue una "politica della povertà", replicano i repubblicani nella risposta formale, affidata quest'anno al governatore dell'Indiana Mitch Daniels.

Sui temi di politica estera, Obama ricorda le promesse mantenute: la morte di Bin laden, il ritiro dall'iraq. E poi le tensioni di questi giorni.

Minaccia l'Iran: nessuna opzione è eclusa per evitare che Teheran ottenga l'arma nucleare. Ma una soluzione pacifica è sempre possibile.

Altra zona di crisi, la Siria: Assad scoprirà presto, dice Obama, che le forze del cambiamento non possono essere cancellate.

Ma il cuore del discorso, dicevamo, è sull'economia.

Con le elezioni già in vista è qui che si gioca lo scontro sui problemi dell'america del 2012. Ed è uno scontro anche ideologico.

Sui temi delle tasse, della giustizia sociale e del ruolo dello stato prendono forma meglio che mai le differenze tra le parti politiche e le loro contraddizioni interne.

Obama punta a conquistare (o meglio ri-conquistare) la classe media e allo stesso tempo evidenziare le contraddizioni nel fronte repubblicano. Ricordando le profonde disuguaglianze americane , che anche i suoi 4 anni di presidenza sono riusciti appena a scalfire; ricordando che l'elite dei paperoni incassa grandi dividendi dalle rendite finanziarie ma su queste paga molte meno tasse che gli impiegati e gli operai sui loro magri stipendi di lavoratori dipendenti.

Parole già sentite, ma ottimo tempismo, stavolta: visto che proprio martedì scorso Mitt Romney, il cavallo di razza dei repubblicani favorito alle primarie, ha dovuto rivelare la sua dichiarazione dei redditi: l'anno scorso ha guadagnato 22 milioni di dollari su cui ha pagato appena il 14% di tasse.

E infatti. Non a caso ospite speciale di questo discorso è stata Debbie Bosanek: la segretaria del miliardario Warren Buffett che sollevò la questione - perchè la dipendente middle class deve pagare in proporzione assai meno del suo padrone-paperone?

Ecco la proposta di Obama: una tassa minima del 30% sui chi guadagna più di un milione di dollari l'anno, con eliminazione delle loro grasse deduzioni per la casa e le spese mediche.

Nessun aumento invece per chi prende sotto i 250mila dollari.

Un'altra tassa minima per i profitti che le grandi compagnie realizzano all'estero - compensata da agevolazioni per chi invece riporta posti di lavoro in patria.

Quel che tutti pensano è che queste elezioni si giocheranno in gran parte sull'economia. Su cui la gestione Obama sembra aver influito poco e male. La disoccupazione resta all'8,5%, il debito pubblico è a livelli record: più di 15mila miliardi di dollari.

Obama replica che il congresso condizionato dai repubblicani ha ostacolato e bloccato ogni sua iniziativa.

Ma offre anche una mano tesa: i due partiti devono smetterla di stare in perpetua campagna di mutua distruzione.

Sfida dunque sull'economia ma anche sulla concezione dei valori fondanti dell'America. Per Obama, sono quelli della solidarietà nell'uguaglianza delle opportunità. Per i suoi avversari repubblicani, la libertà individuale, anche dalle ingerenze dello stato.

Su questa sfida si gioca il voto presidenziale del 6 novembre.

Economia e valori democratici: mai come oggi - e non solo in America - la dialettica fra questi due termini condiziona la politica e il futuro.