Quando Gianni Letta se ne va con l'aria pensosa da Palazzo Grazioli e arrivano di gran carriera i big di Pdl e Lega, tanti dei quali vedono il governo Monti come fumo negli occhi, diventa chiaro che qualcosa sta cambiando nella testa di Silvio Berlusconi.
Che sia un reale colpo di scena, un vero cambio di strategia per rimettere in pista un governo politico di centrodestra allargato all'Udc (a guida Lamberto Dini o Angelino Alfano), o solo una drammatizzazione, una tattica negoziale in vista della formazione di un governo Monti già blindato dal Quirinale e benedetto dai leader dell'Europa, di certo il premier inchioda e lascia per terra segni evidenti della frenata.
Lo descrivono a tratti frastornato, a tratti rinvigorito ed euforico dopo la riunione di questa notte al Senato, dove in molti lo hanno incitato a non svendere la golden share del centrodestra entrando in un governo di soli tecnici senza poter dire una parola su nomi, durata e programmi, mortificato da scelte altrui e senza diritto di parola.
Se e' vero che molti dei suoi lo hanno spinto nei giorni drammatici della crisi ad appoggiare senza riserve un governo Monti dimenticando l'opzione del voto, altrettanto forte e' stato il pressing di quelli che lo hanno avvertito della conseguenze inevitabili di tale passo: un partito spaccato, la fine del rapporto con la Lega, la rottura delle alleanze politiche sul territorio.
"Io non intendo spaccare il Pdl, rovinare il rapporto con Bossi, sperperare 18 anni di faticosa costruzione politica - si è così convinto il premier - Al Senato ho la maggioranza. Ho detto che accetterò un governo di salvezza nazionale ma devo essere interpellato su durata, squadra e programma. Non voglio forzature, non accetto a scatola chiusa e deve essere chiaro che un governo così è solo una parentesi che non deve scalfire il bipolarismo".
Nel Pdl regna il caos e a Palazzo Grazioli il premier resta blindato praticamente per tutto il giorno, in un interminabile vertice che affida ad un ufficio di presidenza convocato per domani la decisione definitiva.
"Berlusconi ha fatto marcia indietro dopo aver capito di aver messo in moto un meccanismo infernale che avrebbe portato alla decomposizione il Pdl e distrutto per sempre il rapporto con la Lega - racconta un ministro della 'fronda' contro Monti -. Allora ha cominciato a ragionare sulla possibilità di lanciare dopo le sue dimissioni un governo di discontinuità, di centrodestra, stringato, con pochi ministri, a guida Alfano o Dini, con un programma chiaro ed un allargamento all'Udc della maggioranza uscita dalle urne. Se Napolitano dirà no, si va a votare".
Una prospettiva impensabile fino a poche ore fa , quando già circolavano organigrammi del governo Monti già trattato da premier ben prima delle dimissioni del Cavaliere, e che il coordinatore del Pdl e ministro della Difesa Ignazio La Russa sintetizza così: "Meglio le elezioni dei pateracchi e delle ammucchiate, chi entra in conclave papa esce cardinale". Altri dicono più esplicitamente che "il governo Monti così come era stato prospettato ormai non ci sarà, è tramontato".
C'è anche chi però resta convinto che quella del Cavaliere sia solo una strategia per tenere unito un partito ormai spaccato tra fautori del voto e fautori del governo Monti. "Berlusconi sa che la strada è segnata, lo ha già capito che se non arriva Monti la prossima settimana lo spread va a 700, dobbiamo chiedere l'aiuto del FMI e verremmo comunque governati dalle loro richieste - dice un forzista della prima ora -. Deve solo convincere questi irresponsabili".