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Carceri: Maria Grazie Caligaris (Sdr), trasferito da Cagliari a Velletri giovane polacco autolesionista

“Ha lasciato il carcere cagliaritano di Buoncammino con destinazione la Casa  Circondariale di Velletri Bartolomeo Gerboris, il trentenne polacco che nel mese di luglio, mentre era recluso a Oristano, aveva inghiottito una forchetta di metallo in un disperato gesto di autolesionismo. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con un atto di umanità lo ha destinato in una struttura penitenziaria vicina ai familiari per consentirgli di effettuare i colloqui”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che aveva segnalato il caso sottolineando la necessità di favorire il rapporto con i familiari e in particolare la madre e la sorella che vivono e lavorano a Roma.

 “Il ragazzo, che terminerà di scontare la pena tra poco più di due anni, nonostante i dolori e un pericoloso dimagrimento, aveva rifiutato – ricorda la presidente di SDR – l’asportazione dell’oggetto metallico con un intervento chirurgico suscitando apprensione tra i Medici del Centro Clinico del carcere cagliaritano dov’era ricoverato. Rischiava infatti la perforazione dello stomaco e dell’intestino. La forchetta era stata poi miracolosamente espulsa naturalmente e il giovane, dopo un periodo di grande sofferenza psicologica, grazie alla sensibilità dei Medici, degli Agenti di Polizia Penitenziaria e dell’Educatrice di Buocammino era riuscito a ritrovare un equilibrio. La sua unica esasperante richiesta era quella di poter riabbracciare la madre”.

 “Il caso di Bartolomeo Gerboris è emblematico. Il ragazzo, dal carattere difficile e con problematiche caratteriali e psichiche particolarmente sensibili, prima di giungere a Oristano, aveva migrato attraverso cinque Istituti. Da Pisa, dove nel 2008 aveva commesso il reato di furto, a San Gimignano, Rebibbia, Benevento e Avellino. In un’altra circostanza aveva tentato un gesto estremo. Punirlo per le intemperanze con continui trasferimenti che lo allontanavano sempre più dalla famiglia ne avevano alterato talmente l’equilibrio da renderlo un soggetto fragilissimo incapace di relazionarsi perfino con gli psichiatri”.

 “L’auspicio è che il Dipartimento – conclude Caligaris – ponga sempre maggiore attenzione all’umanizzazione della pena. Il recupero dei cittadini privati della libertà non può avvenire escludendoli dagli affetti familiari. La detenzione non può essere cancellazione o drastica riduzione della vicinanza dai propri cari. C’è il rischio che i gesti di autolesionismo si moltiplichino e che diventi impossibile il reinserimento sociale di chi ha sbagliato”. Red

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