Secondo l'Ocse, "il mercato del lavoro italiano sta diventando più segmentato, con lavoratori in età matura in impieghi stabili e protetti e molti giovani senz'altro sbocco immediato che posti più precari".
In Italia, infatti, il 27,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e il 46,7% di chi invece lavora ha un impiego temporaneo. La fotografia dello stato di precarietà occupazionale del nostro Paese arriva dall'Ocse che, nel suo Employment Outlook, basato su dati di fine 2010, mette in chiaro quanto sia difficile per un giovane italiano trovare occupazione o stabilità contrattuale.
Il 46,7% dei giovani ha dunque un contratto precario e questa percentuale è cresciuta di 9 punti dall'inizio della crisi, nel 2007. In quei giorni la disoccupazione giovanile era al 20,3%: oggi è al 27,9%, ben superiore alla media ponderata dell'area Ocse (16,7%). Il tasso di disoccupazione giovanile, riporta ancora lo studio Ocse, è più alto tra le donne, 29,4%, che tra gli uomini, 26,8%. Ed entrambi i dati sono superiori alla media dei 34 Paesi membri dell'organizzazione, rispettivamente del 15,7% e del 17,6%.
Notizie poco liete il rapporto Ocse segnala anche sul piano delle retribuzioni. Il salario medio in Italia nel 2010 è stato di 36.773 dollari (a tasso di cambio corrente), contro una media dell'Ue a 21 di 41.100 dollari e dell'Eurozona a 15 di 44.904
dollari. Il salario medio italiano è superiore a quelli di Spagna (35.031), Grecia (29.058) e Portogallo (22.003), ma inferiore a Francia (46.365 dollari), Germania (43.352) e Gran Bretagna (47.645).
Continua a crescere nell'area Ocse il tasso di disoccupazione di lungo termine. Nei 34 Paesi membri, a fine 2010, il 48,5% dei disoccupati era senza lavoro da almeno 6 mesi (contro il 41% dell'anno precedente) e il 32,4% da almeno 12 mesi, contro il 24,2% del 2009. Per quanto riguarda l'Italia, i disoccupati senza lavoro da 6 mesi o più sono il 64,5% (in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2009) e quelli senza lavoro da un anno o più il 48,5% (+4 punti percentuali rispetto al 2009). "Fasi prolungate di disoccupazione - sottolinea l'Ocse nel rapporto - sono particolarmente penalizzanti, perché aumentano il rischio di una marginalizzazione permanente dal mercato del lavoro, come risultato del deprezzamento delle abilità e della perdita di autostima e motivazione".
In Italia il lavoratori part time sono donne per il 76,9%. Le lavoratrici part-time rappresentano il 31,1% del totale delle donne occupate, mostrano ancora i dati dell'organizzazione parigina, contro il 6,3% tra gli uomini. Il lavoro a tempo parziale (meno di 30 ore settimanali, secondo la definizione Ocse) rappresenta nel nostro Paese il 16,3% del totale dei posti di lavoro.
In Italia il sistema fiscale e di welfare "gioca un ruolo minore nel proteggere le famiglie contro le conseguenze di grandi contrazioni del reddito da lavoro" rispetto ad altri Paesi dell'Organizzazione. Per gli italiani, spiega l'Ocse, "grandi riduzioni del reddito da lavoro individuale (per esempio in caso di perdita del posto di lavoro) tendono a tradursi in contrazioni del reddito disponibile familiare superiori a quelle osservate negli altri Paesi Ocse", a causa "della limitata azione di assorbimento degli shock operata dagli ammortizzatori sociali". Di conseguenza, conclude lo studio, "lo shock negativo sui redditi da lavoro subìto da non pochi italiani durante la crisi si è probabilmente tradotto in un aumento del rischio di povertà e di difficoltà finanziarie, anche se l'aumento massiccio di risorse per la cassa integrazione guadagni ha contribuito significativamente a limitare il numero di lavoratori affetti da tali shock".
"Bisogna fare di più per migliorare in modo durevole la situazione del mercato del lavoro per i giovani" afferma l'Ocse, e per farlo servono riforme. Con l'arrivo della crisi, prosegue lo studio, la legislazione italiana "restrittiva" sui contratti da lavoro a tempo indeterminato da una parte "potrebbe aver aiutato il paese a contenere l'impatto della recessione sul mercato del lavoro", ma dall'altra "nella fase attuale tale legislazione potrebbe scoraggiare le assunzioni, soprattutto con contratti permanenti, mettendo dunque a repentaglio la ripresa". L'Ocse chiede dunque "un'ampia riforma dei contratti di lavoro" che "dovrebbe essere rivolta, in particolare, a ridurre l'incertezza rispetto alle conseguenze del quadro regolamentare sugli esiti delle procedure di licenziamento".