Andata e ritorno senza soluzione di continuità dal capoluogo sardo a un piccolo paese della Calabria, a 80 chilometri da Reggio, con un permesso di necessità di 4 ore concesso per le gravi condizioni di salute della madre dal Magistrato di Sorveglianza di Cagliari ma ridotto a 2 ore dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Si è trasformato in un’odissea il permesso di incontrare l’anziana madre per un detenuto del carcere di Buoncammino, L. B., in stato di detenzione da oltre 15 anni. Analogo destino per la scorta che nell’arco di 24 ore ha effettuato la traduzione. L’uomo, che non vedeva la madre da 2 anni, aveva chiesto di poter incontrare l’anziana donna, impossibilitata a effettuare colloqui con il figlio a causa delle precarie condizioni di salute.
Il Tribunale di Sorveglianza aveva com’è prassi predisposto i necessari accertamenti disponendo il permesso di avere un colloquio di 4 ore con la madre affetta da linfoma e sottoposta a chemio e radioterapia. Il DAP però ha eccepito la misura intervenendo con un “provvedimento di modifica” e imponendo una permanenza ridotta per motivi di sicurezza “per il personale penitenziario addetto alla scorta”. In questo modo l’incontro madre-figlio ha comportato un viaggio aereo andata e ritorno Cagliari-Roma-Reggio Calabria per 6 persone e un trasferimento con un cellulare della Polizia Penitenziaria per 160 chilometri.
“Un tour de force che – sostiene Caligaris – appare giustificato solo da motivazioni di carattere ragionieristico e da una concezione punitiva della norma. Il Magistrato di Sorveglianza, nel disporre il permesso, ha valutato la tipologia del detenuto, il suo comportamento durante la lunga detenzione, il suo livello di rieducazione e le modalità di rapportarsi con gli Agenti nelle altre occasioni in cui gli è stato concesso di incontrare i familiari. Il DAP invece ha considerato il profilo del detenuto al momento dell’avvio del suo percorso penitenziario, 15 anni fa, ponendo l’accento sui rischi per il personale della scorta come se il tempo non fosse mai trascorso”.
“Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria insomma mostra – conclude Caligaris – di non avere fiducia sulla funzione rieducatrice del carcere e di nutrire scarsa considerazione nei riguardi di chi ha titolo per concedere o rifiutare permessi. Evidenzia inoltre un atteggiamento schizofrenico nei confronti degli Agenti che meriterebbero ben altra attenzione rispetto ai bisogni e alle necessità di persone che svolgono costantemente un lavoro difficile”.