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Sarkozy fa decollare i caccia contro Gheddafi che bombarda Misurata

Le operazioni militari sulla Libia per fermare le forze di Muammar Gheddafi avverranno in tempi rapidi e la Francia vi parteciperà. È questione di ore. Lo ha detto chiaro il portavoce del governo francese, Francois Baroin, chiarendo che "l'intervento militare non sarà un'occupazione del territorio libico, ma un dispositivo di natura militare per proteggere la popolazione libica e aiutarla a realizzare la sua aspirazione di libertà". Nel frattempo la Royal Air Force della Gran Bretagna scalda i motori dei suoi caccia, mentre resta da valutare l'entità dell'impegno militare americano, dopo il sì di Washington a Palazzo di vetro alla risoluzione per la no fly zone e i bombardamenti mirati sulla Libia. 

 Gioca sul tempo il leader libico, che prima dell'arrivo dei caccia occidentali bombarda anche oggi la città di Misurata controllata dai ribelli, dopo una notte di scontri d'arma da fuoco. Ieri da Misurata erano arrivate notizie contrastanti. Il regime aveva affermato di avere assunto il controllo della città, mentre i ribelli avevano smentito questa informazione.

 Barack Obama ha chiamato al telefono il primo ministro britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy: il presidente americano ha ribadito che l'obiettivo comune deve essere che la Libia si adegui immediatamente alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che crea una no-fly zone per proteggere i civili dagli attacchi da parte delle forze di Muammar Gheddafi.

 Accerchiato politicamente (chiedevano maggior determinazione sia democratici cone JF Kerry sia repubblicani come John Mc Cain) Obama alla fine ha dato via libera al rappresentante Usa alle Nazioni Unite perché votasse la risoluzione sulla Libia al Consiglio di Sicurezza nonostante le forti perplessità espresse a più riprese dai vertici militari e da molti analisti sull'opportunità e sull'efficacia di una no fly zone anti Gheddafi. E' una vittoria di Hillary Clinton, dice chiaro Politico, fonte tradizionalmente molto bene informata sulle vicende interne all'Amministrazione. E' lei ad aver spinto per settimane per una presa di posizione più dura contro il leader libico mentre il presidente cercava di prendere tempo. La stessa Clinton, in tv, fa sapere a sorpresa che non sarà lei il prossimo segretario di Stato, anche in caso di conferma di Obama alla Casa Bianca dopo le elezioni del 2012.

"Non spedirò nessun soldato tedesco in Libia". È la posizione, netta, del ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle che in un'intervista alla Stampa spiega le ragioni del 'no' di Berlino a un intervento militare in Libia e insiste sull'alternativa di sanzioni economiche e finanziarie, chieste oggi a gran voce da un quotidiano europeo prestigioso come il Financial Times.

"Siamo convinti - sottolinea il vicecancelliere nel governo Merkel - che l'alternativa a un intervento militare non sia l'inerzia, bensì pressioni politiche e sanzioni finanziarie ed economiche mirate. L'obiettivo è fare in modo che il dittatore Gheddafi, che conduce una guerra contro il suo stesso popolo, non possa andare avanti. Le Nazioni Unite giocano un ruolo decisivo, ma tutto quello che va al di là di sanzioni mirate può essere preso in considerazione solo se c'è il sostegno e la partecipazione anche dei Paesi della Lega Araba". È  spaventoso - aggiunge Westerwelle - vedere le immagini che arrivano dalla Libia, l'istinto dice che uno dovrebbe intervenire ora, ma un intervento militare e' solo l'inizio, è la partecipazione a una guerra civile che puo' durare a lungo".
Per il ministro è "difficile" prevedere le conseguenze della missione militare "sui movimenti per la libertà nell'intero mondo arabo e nordafricano". E si dice "preoccupato" per la situazione in altri Paesi della regione, come Bahrein e
Yemen. "Dal nostro punto di vista - precisa il capo della diplomazia tedesca - è necessario fermare i flussi finanziari e di denaro a favore del sistema di Gheddafi".

La Libia "non ha paura" delle possibili conseguenze dell'approvazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, dice oggi uno dei figli del colonnello, Saif al-Islam. Le autorità di Tripoli tuttavia hanno fatto sapere ieri sera di essere pronte per una tregua con i ribelli, pur chiedendo di discuterne prima i dettagli. Una difformità apparente di posizioni spiegabile forse con i destinatari dei messaggi: da una parte i libici dall'altra la comunità internazionale.