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Trovata probabile alternativa al trapianto di fegato: sensazionale scoperta fatta da Fabio Marongiu ricercato dell’Università di Cagliari.

Si è sempre detto che le cellule del fegato si rigeneravano. Ed oggi, la conferma arriva dalla scienza. Infatti  vi è una possibilità: le cellule di questo organo possono rigenerarsi, ma a patto che si sappia innescare questo meccanismo. E in questo direzione un grande passo avanti l'ha fatto Fabio Marongiu, giovane ricercatore di 31 anni, dell'istituto di Patologia generale della facoltà di Medicina di Cagliari. Lo scienziato è riuscito a ottenere epatociti, cellule del fegato, partendo da quelle isolate dalla placenta.

Si tratta - si legge nella letteratura scientifica - di un importante passo avanti verso l'individuazione di una o più strategie, sicure e riproducibili e alternative al trapianto di fegato, ad oggi l'unica terapia possibile per la cura delle patologie epatiche. Il rilievo del risultato è comprovato dalla pubblicazione su «Hepatology», una delle più autorevoli riviste del settore.

Il quadro della ricerca parte da una difficoltà diffusa: in generale non è facile trovare cellule epatiche in quanto l'unica fonte sicura sono gli stessi fegati che, però, sono gelosamente (e giustamente) custoditi per i trapianti, per cui ne è preclusa la loro utilizzazione a scopo sperimentale. Da qui la necessità di «inventare» altre metodologie. «L'idea di utilizzare cellule della placenta e in particolare della membrana amniotica - spiega Marongiu - nasce dal fatto che questo tessuto, essendo anch'esso di origine embrionale, è costituito da cellule di notevole plasticità: in grado di differenziarsi in cellule di altro tipo».

Uno dei settori più promettenti e gettonati della ricerca punta sullo studio della rigenerazione dei tessuti: in questo modo potrebbero curarsi gravi patologie e sostituire parti del corpo più o meno amputate. Tutto prende avvio dallo studio delle cellule staminali: che ancora non si sono sviluppate e che è possibile far diventare grandi in un modo (come cellule di un occhio, ad esempio) o in un altro (come componenti della pelle) ecc. «In questo settore - continua Marongiu - lo studio si è sviluppato soprattutto in due direzioni: nella sperimentazione delle cellule embrionali, da un lato, e in quello delle pluripotenti indotte. In quest'ultimo caso si utilizzano cellule adulte che si cerca di far tornare allo stato staminale. Nel primo, invece, si tenta di capire i meccanismi che spingono una cellula embrionale (ancora in fase staminale) a crescere in un modo o in un altro»

Ma in entrambi i casi vi sono delle difficoltà: nelle pluripotenti il percorso da fare è ancora molto lungo e diversi problemi da risolvere; per le embrionali vi sono in Italia alcune limitazioni legislative e, in più, «anche scientifiche - precisa Marongiu - nel senso che queste cellule si riproducono di continuo e non è ancora chiaro il meccanismo che permette di frenare questo processo. Da qui l'individuazione, come abbiamo fatto noi, di strade alternative».

Fabio Marongiu, che lavora assieme all'equipe di Ezio Laconi (docente di Patologia generale), ha svolto ricerca per due anni anche alla University of Pittsburgh, negli Usa, assieme a un numero uno del settore: Stephen Strom. In America è atterrato nel 2007, poco dopo la laurea e grazie al programma Master and back, le borse di studio regionali che permettono ai laureati di fare esperienza di studio all'estero. Ma il futuro di Marongiu non è detto che sia in Sardegna: ora è «assegnista di ricerca», ovvero ha una «borsa» che gli viene dall'università, ma è un precario. 

«Io preferirei poter restare nell'isola - spiega - ma con questa riforma non sono in grado di dire come potrà andare a finire». La ricerca, però, prosegue: «A Cagliari ho continuato le linee di progettazione iniziate a Pittsburgh - precisa - ma il lavoro da fare è ancora molto. Il nostro obiettivo è rendere ripetibile per tutti la nostra metodologia. In secondo luogo, arrivare a creare un numero elevato di epatociti in modo che possano essere introdotti nel fegato malato per riprodurre le cellule sane. Ma prima di arrivare all'uomo sarà necessario continuare la sperimentazione negli animali, attualmente fatta in topi e ratti. Dovremo passare a specie animali più grandi».