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Insorti dicono di voler solo trattare con il dittatore Gheddafi e non altri.

Al momento sul territorio libico non è in corso nessuna mediazione tra Gheddafi e le forze ribelli ma, in mezzo a questa guerra civile sempre più confusa e dal destino incerto, arriva un'offerta di resa per il Colonnello: «Muammar Gheddafi non sarà processato e ogni accusa contro di lui cadrà se rinuncerà al potere»

I ribelli aprono anche uno spiraglio esplicito: «Siamo disposti a trattare con Mummar Gheddafi ma solo con lui e direttamente e solo se assicura che intende dimettersi» ha affermato Mustafa Abd al Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi e attuale presidente del Consiglio nazionale libico, alla tv satellitare Al-Arabiya. «Per trattare con noi Gheddafi deve subito ordinare il cessate il fuoco alle sue truppe e cessare i bombardamenti su al-Zawiyah e su Ras Lanuf - ha affermato - deve poi dimettersi e dopo possiamo trattare e siamo disposti a fargli come concessione la possibilitá di non essere perseguito e processato una volta che si recherá in esilio all'estero».

E' una via di uscita, formulata di fronte alle telecamere di Al Jazeera da Mustafa Abd al Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi e attuale presidente del Consiglio nazionale libico, neonato organo politico dei ribelli con sede a Bengasi. Un altro membro del Consiglio insurrezionale, Baraa al-Khatib, ha precisato che condizione irrinunciabile per lasciar cadere ogni iniziativa processuale contro Gheddafi è che lasci il potere immediatamente. Khatib ha inoltre escluso che le dimissioni possano avvenire, come richiesto dal colonnello, nel corso di una seduta straordinario del Congresso Generale del Popolo, il Parlamento di Tripoli. «Significherebbe attribuirgli una legittimità che non ha», ha commentato.

Intanto sul fronte di guerra le notizie indicano ancora un'avanzata delle truppe del Colonnello, che non sono però ancora riuscite a fare cadere Ras Lanuf, centro petrolifero che marca la linea di confine tra le due forze in campo. Un testimone nel frattempo ha riferito che le truppe leali al colonnello Muammar Gheddafi hanno ripreso Al Zawiya, la città più vicina a Tripoli che era caduta in mano ai ribelli già nei primi giorni della rivolta. La sua riconquista sarebbe un segnale forte per chi spera di rovesciare il Colonnello in tempo brevi. Secondo il testimone i carri armati e i mezzi da combattimento di Gheddafi stanno girando per la città sparando a caso sulle abitazioni.

Sarebbe in corso una mediazione con rappresentati di uno stato straniero per arrivare a una soluzione della crisi in corso in Libia. Lo ha rivelato ancora Mustafa Abdel Jalil ad Al Jazeera. «I mediatori stranieri stanno trattando per arrivare alle dimissioni di Gheddafi», ha aggiunto. Secondo il giornale arabo "al-Sharq al-Awsat", l'ex premier sudanese Sadiq al-Mahdi avrebbe tentato di trattare per conto di Gheddafi con Abdel Jalil.

«Nonostante siano passate diverse settimane dall'inizio della crisi in Libia, continuano ad arrivare molti profughi, centinaia ogni giorno». È la testimonianza di uno dei tanti volontari che si trovano a Ras Jadir, lungo la frontiera tra Tunisia e Libia, che spiega quale sia la situazione dei profughi nella zona. «Attualmente la maggior parte dei profughi nel nostro campo sono bengalesi - afferma - Continuano ad arrivare a centinaia ogni giorno». «Da un paio di giorni vediamo arrivare anche moltissimi somali - prosegue -. Le emergenze ora sono la pulizia e l'igiene del campo e la costruzione di latrine e docce, oltre all'immediato rimpatrio dei profughi verso i loro paesi».

 

Il dittattore libicoavrebbe intenzione di lasciare

"We stand ready", "Noi siamo pronti". Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, dal quartier generale dell'Alleanza atlantica a Bruxelles, rompe gli indugi: "Ci stiamo preparando ad ogni eventualità".

E lancia quello che suona come un vero e proprio ultimatum al colonnello Gheddafi: "Se lui e il suo regime continueranno ad attaccare sistematicamente la popolazione civile, con bombardamenti che sono crimini contro l'umanità, non posso immaginare che la comunità internazionale e l'Onu restino fermi a guardare".

Dall'altra sponda dell'Atlantico, a Washington, anche il presidente statunitense, Barack Obama, definisce 'inaccettabile' la violenza usata dal regime libico, assicurando che gli uomini del rais pagheranno per le loro responsabilità. E dallo Studio Ovale conferma: la Nato sta studiando "una vasta gamma di opzioni, tra cui potenziali opzioni militari". Tra queste certamente quella della 'no fly zone' sulla Libia, per impedire agli aerei del rais di bombardare città e impianti petroliferi, così come quella di armare gli insorti.

"Si tratta di un'operazione chiaramente di carattere militare", ha spiegato Rasmussen nel corso di una conferenza stampa per presentare la riunione informale dei ministri della difesa della Nato di giovedì Sottolineando "il dilemma" di fronte al quale si trova la comunità internazionale: da una parte la spinta a intervenire militarmente per aiutare le popolazioni libiche; dall'altra la preoccupazione per la possibile reazione nel mondo arabo. Anche se dalla Lega Araba e' arrivata un'apertura inequivocabile sulla 'no fly zone', col segretario generale, Amr Mussa, che si è detto pronto a sostenere una tale iniziativa. Cosi' come lo sono i Paesi del Golfo Persico, che hanno chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di "intervenire per salvare il popolo libico" e schierandosi esplicitamente a favore della zona di esclusione aerea.

Proprio al Palazzo di vetro sono ora rivolti gli occhi di tutto il mondo. E' da li' che dovrà arrivare l'ok internazionale per un eventuale intervento di tipo militare. Lo ha ribadito il segretario Usa alla difesa, Robert Gates. E anche Rasmussen è stato chiaro: "Nessuna operazione della Nato può prescindere da un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". A New York in queste ore Francia e Regno Unito starebbero premendo più di altri per una nuova risoluzione Onu che non escluda stavolta l'uso della forza. Ma sulla strada c'è più di un ostacolo: quello della Cina e quello della Russia, col ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, che ha ribadito la contrarietà di Mosca a un intervento militare straniero in Libia.

L'Italia dal canto suo continua a professare prudenza, mentre la Ue si avvia ad estendere il blocco dei beni anche agli investitori libici pubblici e privati che detengono quote azionarie in gruppi europei (vedi il fondo sovrano Lybian investment authority presente anche in Finmeccanica, Unicredit e nella Juventus). Il ministro degli esteri, Franco Frattini, è stato chiaro: nessun intervento militare e' possibile senza l'ok di Lega Araba e Unione Africana, ha detto, spiegando come sia "assai difficile" ipotizzare l'uso di aerei italiani in Libia nel caso si decida il divieto di sorvolo. Ma nel caso si desse mandato alla Nato di intervenire, "la nostra lealtà euroatlantica - ha assicurato Frattini - ci fa dire che non potremmo negare le basi militari e il supporto logistico". Intanto l'Italia ha avviato contatti con gli insorti: "Abbiamo conoscenze migliori di altri - ha spiegato - e conosciamo l'ex ministro della giustizia che ora e' a capo del consiglio provvisorio di Bengasi e quella rete di ambasciatori libici che hanno detto che da ora loro sono al servizio del popolo e non del regime".

Meno 'diplomatico' il ministro degli interni, Roberto Maroni, che ha ribadito con forza come decidere un intervento militare sarebbe "un errore molto grave": "Io credo - ha affermato il titolare del Viminale - che se si interviene nel modo sbagliato, la Libia può trasformarsi in nuovo Afghanistan o in una nuova Somalia. E tutto vogliamo tranne questo. Perciò ho detto che è necessario che l'Europa vari un piano di aiuti, il piano Marshall di cui ha parlato anche Berlusconi". Maroni torna quindi a chiedere, sul fronte del flusso di profughi, " un impegno maggiore dell'Unione Europea. Noi siamo pronti a fare quello che abbiamo fatto con l'Albania agli inizi degli anni '80 - ha detto - ma da soli non possiamo farcela". Il ministro della Difesa, Ignazio Larussa, di dice comunque convinto che "la Libia non sarà un nuovo Afghanistan": "Le due situazioni non sono comparabili".

La rete tv araba Al Jazira ha affermato questa sera che il leader libico Muammar Gheddafi ha offerto agli insorti di convocare una sessione del Congresso del Popolo libico per preparare la via a un suo ritiro, con adeguate garanzie.
La tv satellitare, che riferisce la notizia anche sul suo sito internet, cita solo "fonti" non precisate, senza fornire altri dettagli. In una 'striscia' preceduta dalla dicitura "urgente", Al Jazira afferma che il colonnello ha offerto una riunione del Congresso generale del Popolo (equivalente al Parlamento) "al Consiglio (nazionale) ad interim" costituitosi a Bengasi.