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Libia, ancora scontri. Stranieri in fuga

Mentre gli stranieri lasciano la Libia in fiamme, il Paese continua a fare i conti con una situazione di forte tensione. Nella notte ci sono stati scontri a fuoco intorno all'aeroporto di Misurata, caduto nei giorni scorsi nelle mani dei rivoltosi. Questi avrebbero rapito l'ufficiale responsabile dello scalo. «I terroristi presenti nella città di Misurata hanno rapito il maggiore Abu Bakr Ali, capo delle truppe presenti nell'aeroporto di Misurata» ha spiegato la tv di Stato. I siti dell'opposizione hanno pubblicato un videomessaggio del maggiore: questi si rivolge alla sua tribù, chiedendo di «evitare ulteriori spargimenti di sangue e di fare gli interessi del popolo». Le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno tentato invano, nella notte, di riprendere possesso dell'aeroporto. Nel nord-est del Paese gli ufficiali della base aerea militare Gamal Abdel Nasser, a sud di Tobruk, sono passati dalla parte dei rivoltosi e secondo alcune fonti il Raìs controllerebbe ormai solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. Secondo il premier Berlusconi Gheddafi avrebbe perso il controllo della situazione.

Sabato mattina Tripoli si è svegliata in una situazione di calma relativa, ma un giornalista ha detto ad Al Jazeera che un gruppo di attivisti e intellettuali che ha partecipato alle proteste sta creando un coordinamento di oppositori per operare in stretto contatto con i gruppi che controllano Bengasi e la Cirenaica, in modo da portare avanti una lotta organizzata. Ci sono stati invece scontri ad Al Zawya, 30 chilometri a ovest di Tripoli: le forze di sicurezza hanno attaccato gli insorti aprendo il fuoco. A Bengasi sono 1.200 i feriti ricoverati nel principale ospedale, Al Jala, e altri 460 in altre strutture. Imponente l'esodo: 50 mila persone hanno attraversato il confine con la Tunisia per trovare rifugio; in gran parte sono tunisini e egiziani. Migliaia di persone sono all'aeroporto di Tripoli nella speranza di lasciare il Paese. E continuano i drammatici racconti dei testimoni: alcuni hanno riferito ad Al Jazeera che almeno sette persone hanno perso la vita venerdì a Tripoli quando le forze di sicurezza hanno sparato sui dimostranti. Un altro testimone ha detto per telefono alla Cnn che uomini armati e in borghese hanno ucciso i suoi due fratelli durante manifestazioni anti-governative. «Anche due miei vicini sono stati uccisi e i loro corpi prelevati dalla strada e portati via», ha aggiunto la fonte, secondo cui persone ferite sono state rapite dagli ospedali e «portate via, nessuna sa dove».

Secondo il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai), Foad Aodi, Gheddafi sarebbe ormai circondato: «In base alle informazioni che raccogliamo dalle nostre fonti a Tripoli, controlla ormai solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. Ci sono ancora segnalazioni di spari in città da parte delle milizie vicine al colonnello». Dopo le defezioni di un gran numero di diplomatici e militari, anche l'infermiera personale del colonnello, l'ucraina Galyna Kolotnytska, sarebbe in partenza da Tripoli per tornare in patria. La moglie di Gheddafi, Ayesh, e la figlia Aisha sarebbero già partite da Tripoli alla volta di Vienna: lo ha affermato un oppositore in esilio del regime contattato da Al Arabiya. La notizia non trova però conferme ufficiali.

Infine, proseguono con qualche difficoltà i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. Venerdì sera sono state completate le operazioni di imbarco a bordo della nave San Giorgio della Marina militare, che dal porto di Misurata ha sgomberato 260 persone, 121 delle quali italiane. Quindi ha fatto rotta verso Catania, dove dovrebbe arrivare domenica mattina. In Libia sono rimasti circa 20 italiani bloccati senza viveri ad Amal, nel sud del Paese. Il C-130 dell'aeronautica militare decollato sabato mattina dall'aeroporto di Pisa per andarli a prendere non ha ricevuto l'autorizzazione all'atterraggio dalle autorità. Ministero degli Esteri, Difesa e ambasciata italiana stanno vagliando altre opzioni per il loro rimpatrio. Hanno invece passato il confine tra Libia e Tunisia i 150 dipendenti della società Bonatti, 10 italiani e gli altri di varie nazionalità, che da venerdì mattina aspettavano l'autorizzazione delle autorità libiche.

 

Gheddafi ai suoi pochi sostenitori: vinceremo.

Il caro amico pazzo e sanguinario del premier italiano, Gheddafi, ha ordinato lo sterminio di tutti quelli che non gli vogliono bene. Perché ha detto il dittatore, ridotto ormai in solitudine perché anche uno dei figli, Seif al Islam, del leader libico Muammar Gheddafi lo ha lasciato solo ed ieri detto ai giornalisti stranieri che a Tripoli che l'esercito si sta trattenendo perché spera di negoziare con i ribelli ed ha aggiunto di sperare in una soluzione pacifica entro domani.

Di tutt'altro tenore l'uscita pubblica di Muammar Gheddafi che si è presentato sulla Piazze Verde a Tripoli dove, in un tripudio di bandiere verdi, ha arringato i suoi sostenitori, ha annunciato l'inferno per i ribelli e ha promesso di sconfiggere i rivoltosi così come è accaduto con "il colonialismo italiano". 

"Questo è il popolo che ha messo l'Italia in ginocchio, io sono con le masse, lotteremo e vinceremo", ha detto Gheddafi rivolto alla folla che lo applaudiva. Sfoggiando il curioso copricapo nero già visto l'altra notte quando era comparso in Tv per soli 22 secondi, il leader libico ha ostentato il suo solito piglio sicuro. Ma il suo regime appare tutt'altro che stabile, a giudicare dalle notizie sia pur contraddittorie che arrivano dalla Jamahiriya. 

Gran parte del paese ormai non sarebbe più sotto il suo controllo e oggi i pretoriani del colonnello hanno sparato su una folla di manifestanti anti-governativi scesi in piazza a Tripoli dopo la preghiera del venerdì. Secondo la Tv del Golfo Al Jazira ci sarebbero state "decine di morti" ma la notizia è tutta da verificare. Un dato comunque sembra ormai certo: in poco più di una settimana, alcune migliaia di civili avrebbero perso la vita, come ha denunciato il vice-ambasciatore libico all'Onu, Ibrahim Dabbashi. 

La situazione a Tripoli è caotica. Secondo alcune fonti, i governativi controllerebbero la città in solo parte, con le unità speciali pro-regime attestate attorno a Bab Alazizia, il complesso fortificato residenza dell'ancora numero uno libico. 

"Abbiamo un piano per far cadere Tripoli, non ci fermeremo fino a quando non avremo liberato tutto il Paese", ha detto al Wall Street Journal Tareq Saad Hussein, uno dei sette colonnelli che a Bengasi hanno conquistato la seconda città del paese. 

Ma in serata la situazione nel centro della città era tranquilla, con i dimostranti pro-regime ancora sulla Piazza Verde, a commentare le parole del loro leader, oggi dato addirittura per morto dalle solite voci incontrollabili. 

"Guardatemi, sono con voi, sono venuto fin qui per incoraggiarvi e salutarvi, cantate, ballate, state alzati fino a tarda notte e siate felici, uscite armati a difendere la Libia", ha detto. 

"Abbiamo sconfitto gli invasori italiani e così sconfiggeremo ogni tentativo straniero - ha proseguito - lotteremo, li sconfiggeremo come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano, abbiamo recuperato la dignità del popolo, riuscendo a farci pagare i danni dall'Italia". 

Oltre alla rete diplomatica libica, anche il clan Gheddafi si starebbe sfaldando. Secondo il quotidiano britannico Daily Telegraph uno dei figli del colonnello sarebbe fuggito in Venezuela. Stando a altre voci un altro figlio di Gheddafi sarebbe passato addirittura dalla parte degli insorti. 

Secondo Al Jazira la ribellione si sarebbe di nuovo assicurata il controllo di al Zawia, a ovest di Tripoli, e anche Misurata, terza città del paese a 200 chilometri dalla capitale, sarebbe in mano loro. Altre tre città a 150 km a sud ovest della capitale, secondo testimoni, stanno per cadere: Yefren Zenten e Jadu. L'area è una roccaforte della minoranza etnica berbera. 

E' attesa per domani l'approvazione di sanzioni contro la Libia, con l'embargo sulle armi, il blocco dei beni, limiti ai viaggi per i dignitari del dignitari oltre ad un riferimento a eventuali crimini contro l'umanità. Lo indicano all'Ansa fonti diplomatiche occidentali del palazzo di Vetro. 

Secondo le fonti, tutto potrebbe quindi andare più in fretta del previsto, anche perché c'è la volontà in seno ai Quindici di dare un segnale forte. I due paesi non occidentali con diritto di veto, Russia e Cina non sembrano avere l'intenzione di mettere ostacoli. 

 La bozza di risoluzione contro la Libia, all'esame del Consiglio di Sicurezza Onu, prevede, tra l'altro, assimilazione delle violenze in corso ai "crimini contro l'umanità"; l'adozione di un embargo alla vendita di armi, il divieto di concedere visti a Muammar Gheddafi e al suo entourage e il congelamento dei beni e dei conti all'estero dei fedelissimi del leader libico. Il documento, che il Consiglio di Sicurezza sta esaminando, prevede anche la possibilità di denunciare la Libia alla Corte Penale Internazionale dell'Aja. 

Le sei pagine della bozza sono state messe a punto da Francia e Gran Bretagna. La maggiora parte del 15 membri dovrà riferire ai propri governi il contenuto del provvedimento prima che venga messo ai voti. Probabilmente si slitterà a domenica e a lunedì quando è atteso un incontro tra Barack Obama e Ban Ki-moon.