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Secondo le carte di wikileaks Berlusconi con gli amici dittatori Gheddafi, Mubarak o Ben Ali. Lukashenko o Putin “Visite private e affari d’oro”.

Il cavaliere secondo i dispacci di Wikieaks è rimasto sedotto dai tiranni, da quei dittatori che irrimediabilmente condizionano la politica estera italiana. Come avvenuto in queste settimane, con Roma schierata fuori dall'asse euroatlantico su Libia, Egitto e Tunisia. Gheddafi, Mubarak o Ben Ali. Lukashenko o Putin. Gente determinata con la quale discutere di tutto scordandosi per qualche ora un Paese alla deriva, segnato da un governo litigioso nel quale i ministri usano la sponda di Washington per farsi la guerra. Arrivando a suscitare sospetti di doppio gioco nella lunga maratona già partita "in attesa di capire chi prenderà il potere dopo Berlusconi". Gli Stati Uniti dedicano molta attenzione agli incroci pericolosi del Cavaliere, un uomo che con i despoti trova grandi affinità. Così una lunga serie di cablogrammi da anni viaggiano tra l'ambasciata Usa a Roma e il Dipartimento di Stato di Washington. WikiLeaks ne è entrata in possesso concedendo a L'Espresso l'esclusiva italiana. Repubblicane anticipa alcuni passaggi che rendono il tono di quei rapporti imbarazzanti che gli americani riassumono così: "Vecchi amici, nuovi affari". 

Mubarak e Berlusconi dopo cena "si raccontano i loro incontri con quel pazzerello di Gheddafi e ridono". All'insegna dell'allegria anche l'ultimo pranzo tra il Cavaliere e il tunisino Ben Ali. Il premier gestisce il "sexier portfolio", ossia delle relazioni più "interessanti", lasciando a Frattini la parte noiosa. Così il premier sembra scordarsi dell'interesse nazionale. Lo sintetizzano gli americani nel rapporto sul summit con Ben Ali, il primo tiranno del Maghreb caduto sull'onda delle proteste popolari. Il 18 agosto 2009 si vedono a Cartagine. Il premier italiano dispensa "barzellette su Obama e sul Papa" in quella che viene definita "una visita così privata che nessuno dei due ministri degli Esteri è stato coinvolto". Ma il Cavaliere non si presenta da solo: con lui c'è il tunisino Tarak Ben Ammar, la cui presenza viene spiegata così all'amministrazione Usa: "È socio d'affari e consigliere di lunga data" di Berlusconi. Del quale vengono sottolineati gli "interessi" privati in Tunisia, che "comprendono studi cinematografici, società di distribuzione e il 50% di Nessma tv" che possiede proprio con Ben Ammar. Gli americani stigmatizzano la surreale motivazione di quell'incontro: "Per la stampa locale hanno firmato un accordo per produrre energia in Tunisia che in realtà è stato firmato nel 2003". 

Mubarak e Berlusconi, invece, si scambiano pacche sulle spalle attribuendosi il merito di avere addomesticato il Colonnello. "Italia ed Egitto condividono lo stesso pensiero - scrive la diplomazia Usa - ritengono di meritare il più grande credito per avere ammorbidito Gheddafi". Gli incontri con il dittatore libico sono sempre seguiti con ansia. "Discutono solo in termini generici" di immigrati, ma in compenso "si sono scambiati doni carini": Silvio "ha promesso di restituire la statua della Venere di Cirene", Gheddafi "gli ha regalato un moschetto dell'occupazione italiana". Provocazione che il Cavaliere non sembra cogliere quando loda "l'esperienza" del Colonnello e "le opportunità di business" per l'Italia a Tripoli. E gli americani si fanno l'idea che Berlusconi abbia offerto al dittatore "i suoi buoni uffici con gli Usa". Di certo, aggiungono, accetta di aprire "fondi sovrani senza trasparenza", come l'investimento libico in Unicredit

Un'altra amicizia vista come fumo negli occhi è quella con Putin. Dopo un vertice del 2002 due file segreti ne descrivono l'origine. Quando lasciano il Cremlino e volano nella dacia di Soci scocca la scintilla: "Putin ha telefonato a Bush alla presenza di Silvio per chiedergli di accelerare le trattative in modo da firmare il trattato Nato-Russia durante il summit di Pratica di Mare". Gli americani sono stupiti e imbarazzati per questa infatuazione. Poche ore dopo il rientro a Roma Berlusconi incontra l'ambasciatore Usa Mel Sembler e gli chiede di inoltrare "una richiesta personale" a Bush: "Vladimir deve essere visto come parte della famiglia della Nato". Annotano gli americani: "Non capiamo se la cosa interessa più a Putin o più a Berlusconi". Chi cerca di essere sdoganato da chi?

Washington è infastidita dall'accondiscendenza con cui il Cavaliere tratta i dittatori, evitando di citare i diritti umani. Scrive l'ambasciata di Via Veneto: "Berlusconi preferisce evitare frizioni, anche se così trascura verità scomode". L'ingrato compito di salvare le apparenze spetta alla Farnesina. Ci prova goffamente dopo l'incontro con il dittatore bielorusso Lukashenko, invitato a cena da Berlusconi nell'aprile 2009 provocando una bufera diplomatica. Frattini cerca di rassicurare gli americani: hanno parlato anche di diritti. Ma lo stesso Lukashenko smentirà. E un funzionario della Farnesina spiega: "Lo ha fatto per ragioni umanitarie: ci sono in ballo 30 adozioni di bambini bielorussi da parte di famiglie italiane". Increduli di fronte alla politica estera del Cavaliere, gli Usa annotano: "Berlusconi ha deciso da solo di rompere l'isolamento di Lukashenko, non si è consultato con l'Europa". Idem con Mubarak, che nel 2004 è a Roma. Tra uno scherzo e una battuta, il premier cita solo indirettamente il tema delle libere elezioni, mentre il presidente Ciampi chiaramente gli dice: "Ho sempre sottolineato la necessità di riforme democratiche ed economiche

Molti ministri di Berlusconi giocano di sponda con Washington per vincere partite interne. Nel 2009 Spogli scrive: "Abbiamo dei potenti alleati in Frattini e La Russa, ma si sono ripetutamente scontrati con il muro del budget eretto da Tremonti". Su Afghanistan e Libano i due ministri chiedono a Washington per fare pressioni su Berlusconi contro il ministro dell'Economia. E così faranno altre volte. Gli americani non sempre sanno come districarsi. Su una commessa di aerei militari l'ambasciatore Usa scrive: "È possibile che lo staff di La Russa stia usando la questione come un'arma nella partita per la Finanziaria. Sperano di sollecitare un intervento di alto livello in loro favore. Ma in Italia nulla è mai certo". Tremonti viene visto dagli americani come un uomo della Lega e pretendente dell'eredità politica di Berlusconi. Anche se piace perché blocca le "misure populiste" del Cavaliere, non convince per come affronta crisi. Il "contrappeso" ideale è Mario Draghi, come goffamente suggerisce all'ambasciatore Usa Francesco Galietti, "un leale collaboratore del ministro dell'Economia". Ma, in un colloquio riservato, il governatore respinge le lusinghe statunitensi e rifiuta qualunque commento su Tremonti. 

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