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Fini rilancia: ‘Fli non muore

No, non mi sento uno sconfitto. Mi sento in battaglia, fermamente intenzionato a combattere per un'altra idea di centrodestra. Saranno gli elettori a dire alla fine se questa idea ha cittadinanza. O se l'unico centrodestra possibile in Italia è quello di Berlusconi e di Bossi". Si scioglie il gruppo di Futuro e Libertà al Senato, continua il transito di ex fedelissimi verso Palazzo Grazioli, ma visto da vicino il presidente della Camera non sembra affatto il politico finito di cui sghignazzano i peones del Pdl alla buvette di Montecitorio. Calma zen, determinato, in un lungo colloquio Gianfranco Fini ripercorre il suo anno più burrascoso, dalla nascita di Fli fino al travaglio di questi giorni. Gelide considerazioni su chi se ne va: "Un delirio: frutto di allucinazione collettiva, o di malafede". E la consapevolezza che la strada è ancora molto lunga: "Una traversata nel deserto a piedi, l'esito è tutt'altro che scontato. In gioco c'è molto di più di un gruppo parlamentare: c'è un progetto politico ambizioso e, banalità, il futuro della persona che anima il progetto. Comunque Fli non vuole partecipare allo scontro quotidiano tra berlusconiani e anti-berlusconiani: sono due facce della stessa medaglia".

Un progetto che per Fini viene da lontano: "Non c'è nessuna improvvisazione, come qualcuno pensa: prima di essere brutalmente estromesso dal Pdl, con la fondazione Farefuturo avevo cercato di proporre un centrodestra sensibile ai diritti civili, rispettoso delle istituzioni, innovativo sull'integrazione degli stranieri". Nessuna volontà di rottura, all'inizio. Neppure nella direzione Pdl dello scontro pubblico con Berlusconi, quello del "che fai mi cacci?", finito sulle magliette dei giovani finiani: "Non sapevo cosa avrebbe detto Berlusconi quella mattina, quel che è successo è stata una sorpresa anche per me. La verità è che sono stato messo alla porta: Berlusconi è talmente l'opposto dei valori liberali che sbandiera da non poter tollerare alcun tipo di dissenso".

La traversata nel deserto parte da lì. Insieme al mix di attacchi contro chi non si piega e di lusinghe verso chi torna indietro che fanno parlare al fondatore di Fli di "armi seduttive del potere finanziario e mediatico". Mai si è visto un presidente della Camera denunciare l'esistenza di deputati disposti alla campagna acquisti, ma Fini puntualizza: "Mi sono meravigliato a vedere le mie frasi così tradotte: deputati comprati. Il mio ragionamento è più ampio: il conflitto di interessi esiste, lo sa bene anche la sinistra che quando ha governato ha ignorato la questione, in una fase in cui la messa all'indice di chi si oppone diventa il tratto distintivo, contrastare il gigante comporta gravi rischi. Ma la nuova anima del berlusconismo non è il conflitto di interessi, è l'oggettivo interesse al conflitto. C'è un interesse al conflitto permanente per creare uno stato di tensione, una perenne ordalia in cui si fa vivere agli italiani sempre l'ultima ora della campagna elettorale decisiva. Berlusconi alza muri per far dimenticare i suoi fallimenti, scava fossati contro i nemici: i comunisti, i giornalisti, i magistrati, gli alleati infedeli, Santoro, Fini... Va ben oltre il conflitto politico: come ha sottolineato il capo dello Stato, il pericolo è scatenare un conflitto istituzionale. Berlusconi ha delle istituzioni la stessa idea che ha del Pdl: una concezione proprietaria che lo porta ad attaccare i giudici, la Consulta, la Camera, fino a lambire il Quirinale".

Oggi, però, imprevedibilmente il principale nemico dell'uomo di Arcore è diventato il leader della destra italiana, ieri delfino in pectore, ora accusato di ogni nefandezza, compresa quella di aver stretto un patto occulto con le toghe per bloccare ogni riforma sulla giustizia. "Risibile", reagisce Fini: "Io vado fiero di aver esercitato, nella fase in cui ero determinante nel Pdl, un notevole potere di interdizione per bloccare presunte riforme che non avevano nulla a che fare con l'interesse generale". Sul caso Ruby il presidente della Camera sgombra il campo dai sospetti: "Non è né saggio né giusto auspicare che Berlusconi possa essere costretto a rassegnare le dimissioni per via giudiziaria. Berlusconi va sconfitto politicamente, con le elezioni". E ripete quello che dichiarò a vicenda appena scoppiata, quattro mesi fa: "Se quella telefonata c'è stata, ci sarebbe un uso privato di incarico pubblico". "Nulla da aggiungere oggi, se non che sottoscrivo in pieno quanto ha detto il capo dello Stato: l'imputato ha diritto di difendersi nel processo, non dal processo. Ed è un'ipocrisia dire: il giudice naturale è il Tribunale dei ministri. Se fosse davvero così basterebbe che il Pdl chiedesse alla Camera l'autorizzazione a procedere in tal senso. Altrimenti è tutto un infingimento. Un gioco degli specchi".